L’Histoire du Soldat di Igor Stravinskij è quasi uno ‘staple’ (cibo abituale) delle istituzioni musicali romane. Ne ricordo un’edizione con regia di Peter Sellars, al Teatro India (sede sul lungotevere meridionale per spettacoli sperimentali del Teatro di Roma) alla fine degli anni Novanta, in cui testo e partitura erano fortemente interpolate tanto da deludere, nonché produzioni relativamente recenti all’Orchestra Sinfonica di Roma (2011), all’Opera di Roma (2013), all’Accademia Filarmonica Romana (2015) e all’Orchestra di Piazza Vittorio (2016).
Igor Stravinskij, sempre profondamente anti-comunista anche in quanto i Soviet avevano espropriato tutti i beni suoi e della sua famiglia, aveva lasciato la Russia alle prime avvisaglie della rivoluzione sovietica ma poco più di cento anni fa aveva portato in Francia la musica tradizionale russa con quel Le Sacre du Printemps che causò notevole scalpore a Parigi ma trionfò a Montecarlo, prima, e nel resto d’Europa, poi.
Con la prima guerra mondiale sul suolo francese, emigrò povero in canna in Svizzera dove componeva lavori proprio allo scopo di portarli in giro per città e villaggi a costi bassissimi: l’Histoire comporta un attore – voce recitanti (nelle versioni più elaborate – ne ricordo una alla Piccola Scala nel 1981 – vengono utilizzate marionette) e un ensemble di sette strumentisti (violino, tromba, clarinetto, fagotto, trombone, percussioni, contrabbasso). In breve un ensemble mai utilizzato prima di allora e mai ripreso successivamente. L’Histoire du Soldat è una micro-opera. Verso schemi simili andò Britten dopo la seconda guerra mondiale a ragione delle sempre maggiori difficoltà di allestimento di opere tradizionali che il compositore preconizzava a causa delle crescenti restrizioni economiche e dell’aumento di offerta in altri settori (cinema, televisione, viaggi).
Comunque ebbe ‘la prima esecuzione assoluta’ non nella piazza di un villaggio ma all’Opéra di Losanna, una elegante sala con palchi e gallerie nel settembre 1918, a guerra terminata. Oggi alcuni compositori italiani e stranieri stanno tornando verso “opere da camera” e “micro-opere”. L’Histoire è, quindi, lavoro che apre un solco nel “Novecento storico”: l’abbandono delle opere post-romantiche e veriste con enormi organici ed il ritorno all’opera da salotto della Camerata Bardi. Il musicologo Giovanni Gavazzeni ricorda un altro aspetto importante de L’ Histoire: è il lavoro con cui Stravinskij effettua una sbalorditiva virata dal periodo russo alla poetica neoclassica sino ad approdare in vecchiaia alla dodecafonia in un’operina per la televisione finanziata da una casa di dentifrici.
La trama è di un’innocenza al limite dell’ingenuo ma i versi di Charlez Ramuz messi in musica da Stravinskij ne fanno un’ironica ma profonda considerazione sulla condizione umana. Oppure una parabola: il diavolo, subdolo ed ingannatore che promette ricchezza e felicità al povero soldatino, riesce da ultimo a farlo cadere in trappola. E’ anti-comunista perché il diavolo è – lo ha detto lo stesso compositore – il Soviet che tutto promette e nulla dà. Attenzione pochi sanno che Stravinskij, morto nella propria villa vicina a New York, chiese di essere sepolto in Italia per (lo è nel cimitero di Venezia) per essere vicino a Diaghilev (con cui aveva portato la musica slava in occidente e perché l’Italia era stata governata dall’unico politico – Mussolini! – che aveva apprezzato e promosso la musica contemporanea). Nonostante la sua avversione al comunismo, era assolutamente apolitico, come rivela un’intervista data in Francia, durante il Fronte Popolare, in cui dice di “aborrire” la sinistra, “detestare” la destra e che il centro gli “fa semplicemente schifo”.
L’Histoire dura circa tre quarti d’ora. La sera dell’8 marzo, è stata presentata dall’Accademica Filarmonica Romana al Teatro Argentina in una serata in cui nella prima parte si ascoltavano due lavori del Novecento – Tre pezzi per clarinetto solo sempre di Stravinskij del 1917 (quindi coetaneo all’Histoire ) L’elogio per un’ombra per violino solo di Petrassi del 1971) – ed uno contemporaneo (La terra del rimorso di Panni del 2013). Un buona scelta che colloca l’Histoire nell’appropriato contesto storico e nei suoi sviluppi. Interessante anche l’assonanza con la Turandot di Busoni, di recente vista ed ascoltata a Cagliari e recensita su questa testata: hanno numerosi punti in comune – dall’ironia nel trattate miti antichi (quello di Faust ne L’Histoire ) alla sintassi (due brevi parti- ciascuna in numerosi piccoli numeri musicali)
L’ensemble di Roma Sinfonietta diretto da Fabio Maestri è stato il protagonista della serata: è un complesso di virtuosi solisti come hanno dimostrato Luca Cipriano e Marco Serino nei brani per clarinetto solo e per violino solo nella prima parte. Peppe Servillo era la voce recitante ; il testo di Ramuz, in traduzione ritmica italiana (la voce recitante è quasi un melologo ) con alcune inflessioni , per il soldato, in napoletano.
Serata godibilissima ed applausi molto meritati.