Il jazz viandante della musicista romana Cecilia Sanchietti, chiede di andare alla scoperta del retroterra vitale e culturale che anima ogni emissione autentica – e non formale – di artigianato musicale nato dall’incontro vivo tra persone.  Batterista di pregio, che fornisce il proprio apporto alle più diverse e libere forme artistiche (su tutti il bel pop cantautorale di Agnese Valle), riflette una curiosità alla ricerca di quella parte dell’anima connessa alle varie anime del mondo che entrano in contatto con l’esperienza di tutti i giorni, quelle in cui ci si imbatte nel quotidiano mestiere di vivere, tra difficoltà e ricerca del gesto naturale.  Dall’indole prettamente urbana e ultraetnica dell’esordio di “Circle Time” (jazz project in quartetto allargato), si passa con questo nuovo “La Terza Via” a un insieme che aggiunge agli impeti stradaioli, fasi più soffuse e ricercate.      



E così è l’apertura di Which Way.  Una intro calda e avvolgente di piano riporta alle escursioni storiche del Mays degli anni gloriosi del PMG, la soffice e felpata azione spazzole/piatti della Sanchietti fa respirare il tessuto musicale con discrezione e sensibilità, l’evoluzione del brano crea un effetto catarsi, una purificazione in note che sembra richiamare l’equilibrio di corpo e anima al giusto peso.  La struttura è quella del trio – con Pierpaolo Principato al piano e Marco Siniscalco al basso – cui si aggiunge in metà dei brani il sax di Nicolas Kummert.  La successiva Circus cambia registro, riportando all’esperienza completa e multietnica della protagonista.  L’anima urbana e di ringhiera sottolineata da percussioni crude e metropolitane, gli ottimi unisono di piano, basso e sax, gli echi di Weather Report e Napoli Centrale tra accelerazioni e decelerazioni, energia e suono interiore.
Il resto del disco si gestisce con pulizia ed encomiabile dignitàDa una Not (In) My Name che sfreccia in un free guidato da una batteria scalpitante e dosata indulgenza romantica a una Shouting to a Brick Wall, imperniata sulla vivacità fresca di stacchi bilanciati da melodie rotonde e scorrevoli.  Da una Sweet & Bitter lenta e riflessiva che su un fraseggio di basso elettrico riporta alla verve degli standard d’epoca, a una Run Baby Run che fa giocare il quartetto su una melodia aggraziata con improvvisazioni che spezzettano e poi ricompongono abilmente il tema conduttore.
Emerging Lands intaglia melodie e ritmi su humus e atmosfere cosmopolite.  Hang Gliding vede il sax dettare il tema facendo riunire ogni altro contributo sul proprio disegno costante.
L’alternarsi dei temi sembra voler costruire un percorso mirato che convoglia l’attenzione sulla title-track La terza via, sintesi della bravura ed efficacia della Sanchietti nel far propri i canoni e le variabili del miglior jazz.  Un corposo basso elettrico costruisce un riff marcato e ricorrente che lancia le melodie del piano verso linguaggi e forme polivalenti supportate da incrementi ritmici, stop e ripartenze.  La chiusura spetta a una Innocence che riprende un Jarrett d’annata, regalando un’intima confessione musicale a base di dolcezza e abbandono.

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