La spazialità ariosa del disco decolla immediatamente su Ognuno ha il suo racconto, arrangiamento da manuale per dinamiche e gestione di contributi musicali e corali, e dulcis in fundo per il bel testo dell’ottimo Miki Porru, che centra alla perfezione il ritratto di una vita viva, forte di un’energia intatta e di un orgoglio fecondo che evita le strettoie della superbia.
Il nuovo album di Red Canzian si sintetizza idealmente nei vitali quattro minuti della canzone sanremese, piena di vigore rock e positività contagiosa. E si riassume nel suo unire la semplicità essenziale del brano che apre l’album, alla felice complessità di quello che lo chiude – Cantico – attraverso la frase chiave “Testimone del Tempo” presente in entrambe le canzoni oltre a fornire il titolo dell’album. Il resto del lavoro ruota intorno a questo forte espediente prendendo vie traverse, lontane, testimoniando letteralmente l’avventura dell’esistenza, la propria e quella altrui attraverso incontri, confessioni, timori, cadute e risalite.
Cosa abbiamo fatto mai, ne è un bell’esempio. Piglio delicato tra respiro mediterraneo e tocco fiabesco che riunisce, come spesso accade nella migliore canzone d’autore, echi francesi e stilemi di William Byrd, per poi amalgamarli ulteriormente con fantasmi di Tenco e Bindi nella grazia malinconica e speranzosa di La notte è un alba.
Pop e melodia italica d’autore, a volte lambiti da lievi venature rock come in Reviens moi, Da sempre e L’impossibile , in altri momenti benedetti dalla fierezza larga ed immediata di ballate dal sapore morandiano come in Meravigliami ancora. Una vena fresca e definita che mantiene una incisiva linearità d’ascolto in Per cercare di capir le donne, Presto, tardi, forse, mai e Eterni per un attimo con il bell’intervento vocale e il sitar di Aldo Tagliapietra.
E’ il disco in cui Canzian – archiviata la lunga esperienza dei grandi numeri con i Pooh – centra l’obiettivo di condensare in meno di un’ora l’ABC della canzone italiana e delle migliori sortite da pop-rock ensemble, con una pertinenza e precisione di intenti portate a compimento dopo l’apprezzabile tentativo de “L’Istinto e Le Stelle”. C’è il bel contorno, e a tratti l’impronta marcata, di un manipolo di musicisti di livello ragguardevole, dalla chitarra elettrica di Alberto Milani, a quella acustica di Davide Tagliapietra, gli arrangiamenti di Will Medini, le tastiere di Daniel Bestonzo e su tutti la pregevole impalcatura ritmica di Phil Mer a supportare basso e voce del protagonista.
E poi nella carezzevole melodia di Quello che sai di me quasi un sussulto, che rimanda al soft AOR britannico fine anni ’90 con tanto di inserto di brass e flauti (strizzando l’occhio a The Corrs di No Good for Me e Cranberries di Loud and Clear). E c’è soprattutto quel senso di dolcezza irrequieta della voce di Chiara Canzian che stende il suo sottile velo in fase di controcanto e di interventi corali in vari momenti di altri brani, quasi come un avvertimento, un indizio che anticipa il grande finale, annunciato dal tenore acustico-orchestrale di Tutto si illumina che riprende il tono confessorio delle ballate d’autore poste all’inizio del disco. La citata Cantico arriva come un’onda che si frantuma e ricompone tra flussi interiori e ritorni alla strada maestra. Gli incastri piano-xilofono-orchestra, la voce trasognata di Chiara Canzian ad annunciare il primo cambio di scenario, il canto all’unisono nel bridge, la coabitazione creativa con Renato Zero (oltre che con Phil Mer e Vincenzo Incenzo) in una lauda che unisce prog e musical disneyano.