Il 26 marzo, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha presentato la prima di tre repliche (sino al 30 marzo) di Der Fliegende Holländer di Richard Wagner. Era la prima volta che l’opera veniva eseguita nei concerti del’Accademia. Der Fliegende Holländer è l’opera di Wagner più rappresentata in Italia; se ne contano oltre circa 90 allestimenti di cui 20 nel periodo 1877 (‘prima’ italiana di “Lohengrin”) ed il 1949 e circa 70 dopo il 1950, Nell’anno “par excellence” delle celebrazioni verdiane – la stagione 2000-2001 –  se ne videro ed ascoltarono, quasi a mò di legge del contrappasso, addirittura tre allestimenti in otto dei maggiori teatri lirici italiani. 



Le ragioni sono molteplici: l’opera  è relativamente breve (due ore e venti di musica), ha un impianto weberiano “a numeri chiusi” (otto principali, suddivisi in un totale di 22, intermezzi compresi) su una struttura abbastanza simile a quella dei melodrammi italiani, non richiede una messa in scena complessa – tanto che sta prendendo forza la prassi di eseguirla, come desiderato da Wagner, come atto unico i cui cambi scena vengono accompagnati dagli  interludi. Nell’edizione dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, c’è un unico intervallo tra il primo atto, da un canto, ed il secondo e terzo, dall’altro.



Per il vostro chroniqueur, Holländer  ha un significato particolare: è il primo spettacolo lirico a cui assistette, poco più che bambino, nel 1954, quando si usava ancora intitolarlo Il Vascello Fantasma. Dirigeva il mitico Karl Böm, cantavano Leonie Rysanek e Hans Hopf: l’allestimento (di Camillo Parravicini), in tre atti, era tanto tradizionale (con fiordi e navi di cartapesta, tempeste ed apoteosi finale) da restare indelebile nella memoria di un dodicenne. Naturalmente, Holländer è molto di più di quanto non paia nella vulgata popolare : ha in nuce tutto il Wagner del futuro – dal flusso orchestrale ininterrotto all’afflato cosmico, all’estraneità dei protagonisti dal mondo circostante, al percorso davvero satanico, ove non fragorosamente osceno, per giungere a quell’Erlösung (“Redenzione”) con cui il Maestro chiuderà l’ultima nota di Parsifal. Il personaggio Holländer è l’archetipo di Tannhauser, Lohengrin, Siegfried, Franz von Stolzing, Tristan e Parsifal ossia un po’ di tutti coloro che sono o si sentono “differenti” rispetto al mondo circostante (visti con le lenti quadrate indossate dal Wagner iconografico di gran parte dei ritratti).



L’esecuzione in forma di concerto consente, quasi meglio che in una produzione scenica in un teatro, di assaporare sia la grandezza del lavoro sia quanto anticipasse future opere wagneriane. Al termine della rappresentazione, il pubblico è scattato in ben dieci minuti di ovazioni. All’orecchio del critico, gli applausi vanno soprattutto al coro guidato da Ciro Visco , semplicemente eccezionale specialmente nella prima parte del terzo atto quando è diventato il vero fulcro del dramma. Di grande livello tutti gli interpreti, ma un plauso speciale va a Matti Salminen che a 73 anni, con 52 anni di carriera alle spalle (ha debuttato a soli 25 anni come Filippo II nel ‘Don Carlos’ al Teatro Nazionale di Helsinki) ha impersonato un Daland a tutto tondo, dolcissimo con la figlia Senta ed imponente con i marinai del proprio vascello. Iain Paterson è il protagonista, un veterano del ruolo che ha interpretato nei maggiori teatri, nonché un habitué del Festival di Beyreuth; ha reso bene i tormenti interiori di Holländer ed il suo anelito di amore e di salvezza sin dalla prima aria di entrata, nonché nei due duetti con Senta. Quest’ultima era l’americana Amber Wagner, con un abito da sera che la faceva sembrare ancora più  giunonica di quanto non è,;è un soprano wagneriano che ha già interpretato in ruolo in teatri importanti come il Metropolitan di New York, ed ha una voce che ha riempito tutto il vasto auditorio, con un fraseggio perfetto. I due tenori (Robert Dean Smith e Tuomas Katalaja) hanno reso Erik ed il timoniere con vigore.

L’orchestra dell’Accademia, affidata al direttore ospite principale Mikko Franck, è avvezza a partiture difficili e complesse come quelle wagneriane. Ottima nella ouverture e negli interludi, dove ha reso tutta la vibrante foga della partitura, ha avuto alcune incertezze nell’esecuzione (avvertite solo da orecchi esperti); ad esempio, un abbassamento di vigore dei fiati all’inizio del primo atto. Possono essere state determinate da vari elementi, anche da una scarso sinergia con il concertatore. Si è ripresa brillantemente nella seconda e terza parte.