L’arte in generale, e la musica in particolare, sono senza dubbio una strada efficace per esprimere i propri sentimenti, sia riguardo avvenimenti positivi che negativi.
Dato che questo e’ gia’ accaduto numerose volte in passato, sarebbe molto semplice archiviare come “gia’ visto e sentito” il nuovo e per certi versi inaspettato lavoro del poliedrico co-fondatore dei Linkin Park Mike Shinoda. Vorrei pero’ proporre qualche piccolo spunto per tentare di convincervi ad ascoltare questo EP almeno una volta.
L’acronimo “EP” sta per “Extended Play”, concetto utilizzato anche in passato per indicare un “disco” piu’ esteso di un singolo pezzo, ma allo stesso tempo piu’ breve di un vero e proprio CD o album che dir si voglia.
Per certi versi, questo EP e’ la logica e piu’ elaborata evoluzione del brano “Looking for an answer”, eseguito un po’ a sorpresa da Shinoda nella serata-tributo dedicata a Chester Bennington svoltasi a Londra ad ottobre 2017, brano che apriva ad una grande domanda che per il momento resta senza risposta.
Senza dubbio, il sentimento che traspare immediatamente dalle tre canzoni che compongono questo mini-album e’ quello del dolore. Un dolore enorme. Il dolore per la tragica perdita di un amico (il cantante della band Chester Bennington, suicidatosi a luglio del 2017, sei mesi prima dell’uscita di questo EP). Il dolore per la mancanza di colui con cui, come Shinoda stesso ha dichiarato, “nella mia vita ho passato piu’ tempo che con chiunque altro, eccetto mia moglie”. Un dolore cosi’ smisurato che Shinoda stesso sembra voler suggerire, e qui sta il primo spunto di riflessione, sia impossibile da portare da soli. Infatti, il primo brano (“Place to start”) si chiude con una serie di messaggi vocali lasciati sulla sua segreteria telefonica da alcuni amici nei momenti successivi alla tragedia. Una scelta inusuale, ma che potrebbe significare che quegli amici, quei semplici messaggi (come “Ciao Mike, volevo dirti che ti sto pensando”, oppure “volevo solo sapere come stai”), sono stati importanti per lui in quel momento, e sono (o meglio potrebbero essere) il “punto di partenza” di cui canta nel finale del primo brano, poco prima appunto di quei messaggi: “non voglio sapere come finira’, tutto cio’ che voglio e’ un punto da cui partire”.
Il secondo pezzo (“Over again”) ci mostra un Mike piu’ tradizionale, ma che prosegue idealmente nella ricerca che emerge dal primo brano. Qui viene raccontato in modo fin troppo sincero il caos dei mesi successivi alla tragedia, in cui nessuno della band (o “della famiglia”, come lui ama dire spesso) sapeva bene cosa fare. Lo fa utilizzando un rap affannoso, schizofrenico, che rende perfettamente l’idea di come le cose in quel periodo si susseguissero in modo assolutamente caotico e disordinato. Anche qui, pero’, Mike riporta le sue personalissime sensazioni, come il fatto poco piacevole di ritrovarsi a “voler vomitare le budella sul pavimento”, oppure quello di essere assalito da un dolore lancinante “nei momenti in cui meno se lo aspetta”. In questo suo personalissimo e quasi intimo racconto, non risparmia qualche critica a coloro che si approcciano a lui con inutili frasi di circostanza come “wow, dev’essere difficile pensare a cosa fare adesso”, replicando sarcasticamente con “beh, grazie mille genio, davvero pensi sia difficile? E’ solo il lavoro di una vita appeso a un fottuto filo!” E ammette infine molto sinceramente che per quanto lui provasse a lasciarsi alle spalle quanto successo, doveva arrendersi all’evidenza di non riuscire a dimenticare proprio nulla.
Un secondo spunto per ribadire che questo tipo di avvenimenti non “passano col tempo”, come a volte ci illudiamo succeda… infatti, nel ritornello ripete quasi all’ossessione che “non basta dire addio una volta sola, ma bisogna ripeterlo mille e mille volte”. In questo secondo pezzo, sicuramente il piu’ completo dei tre anche musicalmente, possiamo ritrovare anche dei flash-back dello stile Linkin Park, un po’ accantonato nell’ultimo e controverso album “One More Light”, e cioe’ le diverse tracce musicali che in sottofondo si inseguono e si sovrappongono, oppure sfumano per poi ritornare. Senz’altro una piacevole sensazione per nuovi e (soprattutto) vecchi fan.
Il terzo pezzo (“Watching as I fall”) gia’ lascia intuire dal titolo di essere uno sviluppo dello spunto diciamo cosi’ “polemico” del secondo, spunto indirizzato (almeno cosi’ sembra) a chi nell’ambito dello “star system” sta guardando alla tragedia che ha investito Mike e Linkin Park come la fine di tuttio. Il fatto che Mike dedichi tutta una canzone a questo aspetto non fa altro che confermare quanto questo album sia insolitamente intimo, e come lui non abbia nessun timore di mostrare i suoi pensieri, sentimenti e timori a tutti: pubblico amico, “soldiers” (come si fanno chiamare i fan piu’ estremi) e nemici. E’ un po’ come se dicesse al mondo: “eccomi qua, io sono cosi’ e questo e’ quello che sto provando… io non mi nascondo, voi cosa ne pensate?”.
Riassumendo, si tratta di 10 minuti di buona musica, accompagnata e forse superata dai numerosi spunti di riflessione su cio’ che viviamo tutti i giorni, cioe’ dolori e fallimenti alternati a successi e momenti felici.
Vale la pena di riportare, in chiusura, le significative parole di Mike stesso su questo lavoro: “Nel profondo, il lutto e’ un’esperienza personale e intima. Pertanto, questi non sono i Linkin Park, e nemmeno i Fort Minor (esperienza alternativa e puramente rap di Shinoda ndr): sono semplicemente io.”. E ancora: “L’arte e’ sempre stata un posto dove rifugiarmi quando ho bisogno di sistemare la complessita’ e la confusione della strada che ho di fronte. Non so dove questo sentiero mi porta, ma sono grato di poterlo condividere con voi.”.