“C’è una donna vicino al fiume con un uomo giovane e bello, è vestito come uno scudiero, whiskey fuorilegge nella mano, c’è una fila di uomini incatenati sulla strada, riesco a sentire il loro urlo ribelle”: in pochi versi Bob Dylan descrive perfettamente una storia, un mondo, una sofferenza. Da una parte una coppia di giovani bianchi, eleganti che se la spassano lungo il fiume; dall’altra la fila di schiavi di colore incatenati in marcia, la cui sofferenza arriva fino al cantante più di un secolo dopo. Nel brano Blind Willie McTell, dedicato all’omonimo cantante blues degli anni Trenta, la ferita dello schiavismo, del razzismo, di quello che è l’America vengono dipinti con una serie di immagini nette, degne di un romanzo. 



Il “bootlegged whiskey” che viene citato, il whiskey  di contrabbando, è solo uno dei particolari che fanno di Dylan il Mark Twain o l’Herman Melville della canzone rock, capace con un tocco di descrivere un mondo, tipicamente americano, quel liquore che ha sorretto generazioni, fatto da fuorilegge, come fuorilegge è l’America di Dylan.



Se la droga, a differenza della maggior parte dei suoi colleghi cresciuti negli anni 60, non fa capolino quasi mai nelle sue canzoni (anche se il cantante ne ha fatto abbondante uso) il whiskey invece è argomento citato spesso. Si tratta soprattutto di vecchi tradizionali come Copper Kettle, che racconta di una famiglia di distillatori fuorilegge (“Mio padre faceva whiskey, mio nonno pure, non abbiamo pagato tasse sul whiskey sin dal 1792”, facendo riferimento alla tassa federale imposta sul whiskey nel 1791), l’inquietante Moonshiner, il ritratto di un produttore di whiskey clandestino (“Ho speso tutti i miei soldi in whiskey e birra”), la già citata Blind Willie McTell e tanti altri brani il cui contenuto alcolico è sottinteso. D’altro canto cosa c’è di più americano del whiskey? Frank Sinatra (esiste una maraca di whiskey con il suo nome) amava dire: “Sono a favore di qualunque cosa ti aiuti a passare la notte, che sia una preghiera, un tranquilizzante o una bottiglia di Jack Daniel’s”.



La notizia dunque che il cantautore entri nel mercato del superalcolico fa scalpore fino a un certo punto: “Ho viaggiato per decenni e ho potuto assaggiare alcuni dei migliori prodotti. Voglio raccontare una storia” dice, quello che ha sempre fatto. 

Questa naturalmente è la versione ufficiale, quella che accompagna l’Heaven’s Door, un Bourbon di cui Dylan e coproduttore e soprattutto sponsor che sarà lanciato sui mercati il prossimo mese. In realtà non l’ha solo assaggiato, ma in certi periodi della sua vita ne ha fatto anche abbondante uso. Specie nei primi anni 90, quando non era raro vederlo esibirsi completamente ubriaco sui palcoscenici. Un addetto alla sicurezza durante la sua esibizione a Correggio in Italia nel 1992, ricorda che gli venne ordinato di recarsi di corsa a Bologna a procurarsi alcune bottiglie di Jack Daniel’s “per l’artista”. Il risultato fu uno dei concerti più disastrosi del nostro, con lo sguardo sempre fisso a terra e la voce biascicante. L’addetto alla sicurezza raccontò anche di aver trovato nei camerini di Dylan a fine concerto due bottiglie completamente svuotate.

Quei tempi per fortuna sono finiti da parecchio, ma al musicista è rimasta la passione, naturalmente per il Bourbon, il classico whiskey americano che si distingue nettamente da quello inglese o scozzese, molto più liquoroso. Un imprenditore americano, Marc Bushala, ha contattato Dylan proponendogli di produrre una nuova linea di whiskey e lui ha accettato: “Volevamo creare una collezione di whisky americani che, a modo loro, raccontassero una storia” dice il cantautore. 

Pare che i tentativi siano andati avanti a lungo, Dylan non era mai soddisfatto del prodotto ottenuto. Chiedeva un whiskey che ricordasse “un fienile”. Ovvio, essendo lui ormai un artista che vive nel passato, in un “time out of mind”, perso nelle nebbie della Guerra civile e del vecchio West. D’altro canto lo si capisce anche dal modo come lui e i suoi musicisti si vestono sul palco, come un gruppo di giocatori d’azzardo su un vecchio battello che solca le acque del Mississippi.

Le bottiglie si potranno prenotare a partire dal 21 maggio anche online, costo dai 50 agli 80 dollari, non certo economico, e anche in una confezione in cassetta di più bottiglie, da 300 dollari. Particolare che le impreziosisce, ogni bottiglia sarà adornata con un tema che riprende le sculture dei cancelli di acciaio che il cantautore ama fare: “Questo è un ottimo whisky” ha commentato soddisfatto. Il brand del cantautore ne produce tre tipi: Tennessee Straight Bourbon Whiskey, Double Barrel Whiskey e Straight Rye Whiskey. “Dylan ha le qualità che funzionano davvero bene per un whiskey”, ha detto Bushala. “Ha una grande autenticità. È un americano per antonomasia. Fa le cose nel modo in cui le vuole fare. Penso che questi siano buoni attributi anche per un whiskey super premium”.

E’ un mercato in rinnovata crescita quello in cui Dylan sta entrando: negli ultimi 5 anni è aumentato del 52% toccando guadagni per oltre tre miliardi di dollari nel 2017. Ma a differenza di casi precedenti che hanno fatto storcere il naso ai fan del cantautore americano, come gli spot per la linea di lingerie Victoria’s Secret, per la Apple, per la Chrysler, qua Dylan si fa imprenditore. Il suo nome appare visibile sulle bottiglie solo una volta che il contenuto è finito, e a parte una serie di foto promozionali, non farà altra attività pubblicitaria. Il problema piuttosto sarà un altro: quanti dei suoi fan d’ora in avanti rinunceranno ad ascoltare un suo disco senza una bottiglia di Heaven’s Door? Bob Dylan, voce di una generazione, rischia di diventare la voce di una generazione di alcolizzati…