Negli anni 80, all’apice del loro successo mondiale dopo l’uscita del disco The Joshua Tree, la più importante rivista musicale italiana dell’epoca all’interno di un articolo dedicato agli U2 scriveva che “i ciellini non hanno diritto di ascoltare gli U2”. I ciellini, i membri del movimento cattolico di Comunione e Liberazione, probabilmente avevano invece diritto più di chiunque altro di ascoltarli e di andare ai loro concerti, cosa che deva fastidio a quella rivista ovviamente schierata a sinistra, perché in Italia la musica rock è sempre stata appannaggio di questo schieramento. Perché ne avevano diritto? Perché gli U2 erano una band profondamente cattolica: il cantante Bono e Larry Muellen, il batterista nonché fondatore del gruppo, erano cattolici praticanti, appartenevano a movimenti del rinnovamento cristiano, erano sempre stati impegnati in parrocchia. Il chitarrista The Edge era invece di famiglia protestante mentre il bassista Adam Clayton semplicemente non credente. Ma oltre a questo c’erano le canzoni, che attingevano a Bibbia e Vangeli e in molte di esse si poteva vedere una fede profonda.
Politicamente, negli anni 80, si erano schierati per Solidarnosc, il sindacato cattolico polacco che contribuì al crollo del regime comunista, in un brano come “New Years Eve”, nel video del quale indossavano magliette del sindacato (maglietta che peraltro indossava in quel periodo anche Little Steven, ex chitarrista della E Street Band di Bruce Springsteen). Con gli U2 era saltato uno schema ideologico che implicitamente sottintendeva che chi ascolta musica rock deve essere di sinistra, chi va a Messa è di destra. Bono è sempre andato a Messa, ci va ancora, ha tenuto interviste e conferenze in cui ha spiegato quanto sia importante la fede per lui. Col tempo il cantante della band irlandese si è aperto a un impegno più sociale che politico a 360 gradi, impegnandosi per dozzine di cause civili, andando a colloquio con personaggi come papa Giovanni Paolo II, George Bush e pure Matteo Renzi.
Un impegno che ha infastidito molti, ma non la legione immensa dei suoi fan, come dimostrano le cifre dei partecipanti a ogni loro tour. Un impegno preso comunque a livello personale, lasciando fuori la musica del complesso.
Con estrema disinvoltura Bono ha sostenuto il referendum a favore dei matrimoni gay e adesso lui e tutta la band, in vista del referendum che ci sarà tra poco in Irlanda, ha postato su twitter il logo dei sostenitori dell’abolizione dell’ottavo emendamento che proibisce l’aborto se non in caso di pericolo di vita per la madre o pericolo di vita per il bambino. La mossa ha provocato divisione immediata tra i fan. C’è chi ha commentato che non li seguirà più e venderà i biglietti che aveva acquistato per i loro concerti, c’è invece chi si dichiara adesso ancor di più loro fan. C’è infine chi ha sottolineato come le canzoni stesse del gruppo, con questa dichiarazione perdano significato. Ad esempio “Miracle Drug”: “La libertà ha lo stesso profumo del capo di un bambino appena nato”, commentando “Interessante vedere che adesso non vi interessi più che quel bambino abbia quella libertà”. Sulla questione è intervenuto The Edge: “E’ un argomento difficile e so che c’è una grande differenza di opinioni ed è difficile prenderne una senza volersi rendere conto che c’è chi la pensa all’opposto, ma io sono a favore dell’abolizione dell’emendamento, è la cosa migliore da fare”. Peraltro dimenticandosi di essersi esibito due anni fa nella Cappella Sistina in Vaticano.
Ma il punto non è questo. Il punto è che la musica non dovrebbe essere divisiva, ma inclusiva. Lo dovrebbe essere sempre, per non cadere nell’ideologia di cui dicevamo all’inizio, per cui certe persone possono andare ai concerti e altre no, lo dovrebbe essere maggiormente quando si toccano temi etici e dove la scelta è personale come nel caso dell’aborto, non è una scelta politica. Avere milioni di fan e imporre loro la visione che quel determinato complesso ha di certi argomenti è fortemente scorretto, anche se avessero detto che erano contrari alla liberalizzazione dell’aborto. Quando la musica non unisce, ma divide, è la morte stessa della musica. E il ritorno all’epoca delle divisioni ideologiche.