Il 5 maggio è stato inaugurato l’LXXXI Festival del Maggio Musicale Fiorentino con un nuovo allestimento di Cardillac di Paul Hindemith, che mancava da Firenze dal 1991. Che io ricordi – dopo la prima italiana a Venezia nel 1948 (il lavoro esordì a Dresda nel 1926) l’opera è stata rappresentata in Italia solamente a Milano ed a Genova nell’ultimo quarto di secolo, mentre è di repertorio in Europa centrale ed è spesso messa in scena anche negli Stati Uniti.
Questo Maggio Fiorentino, che prende l’avvio con un lavoro raro e prezioso, promette di essere quello della svolta dopo anni di difficoltà: sei nuovi allestimenti di opere, tra cui un debutto mondiale, una prima esecuzione in tempi moderni, un’esecuzione in forma di concerto (diretta da Riccardo Muti) per ricordare il cinquantesimo anniversario dell’inizio del suo lavoro al Maggio, una vasta serie di cicli di concerti a Firenze ed estensione delle iniziative in tutta l’area metropolitana nel Chianti, nella cintura fiorentina, nell’Empolese, nel Mugello, nel Valdarno.
Cardillac è un lavoro di cui Hindemith (appena trentunenne) compose due differenti edizioni, una per Dresda nel 1926 ed una per Zurigo del 1952; stava lavorando ad un terza quando, nel 1963, sopraggiunse la morte. Ciò è una certa indicazione del valore che questa opera aveva per Hindemith sia sotto il significato filosofico che sotto quello estetico.
Tratta da un romanzo del lontano 1819 ambientato a Parigi nell’epoca del Re Sole, apparentemente, è la storia di un’ossessione, quella di un artista incapace di staccarsi dalle proprie creazioni arrivando all’emarginazione, all’omicidio e al linciaggio da parte del popolo. C’è una buona dose di grand guignol e di omicidi seriali sin dalla prima scena. In effetti, la truculenta vicenda è una parabola sui rapporti di un artista con le proprie creazioni: può un artista separarsi mai dalle proprie opere? L’orefice Cardillac (unico personaggio che ha un nome, gli altri sono indicati con stereotipi di personaggi, ‘la figlia’, l’ ‘ufficiale’, ‘il venditore di oro’, ‘la dama’, ‘il cavaliere’) produce gioielli meravigliosi per venderli, ma considerandoli il prodotto della ‘sua arte’ non può non uccidere l’acquirente per riappropriarsene. I tre atti hanno l’andamento di un ‘thriller’ per giungere alla scoperta dell’assassino seriale. Il vero deuteragonista di Cardillac è il coro che rappresenta, al tempo stesso, la folla di Parigi ed il pubblico del teatro.
La regia di Valerio Binasco, le scene di Guido Fiorato, i costumi di Gianluca Falaschi e le luci di Pasquale Mari situano l’azione in un contesto atemporale, ma tale dal ricordare il cinema dell’espressionismo tedesco con le sue atmosfere cupe e tenebrose come in Das Cabinet des Dr. Caligari di Robert Wiene. Ciò, da un lato richiama l’epoca in cui l’opera venne concepita, composta e messa per la prima in scena, ma da un altro sottolinea, per chi è del mestiere, anche come Cardillac è l’opera con cui Hindemith lascia l’espressionismo musicate alla ricerca di una ‘musica oggettiva’ che si sottrae proprio dal soggettivismo tipico dell’espressionismo.
E’ un lavoro ‘a numeri chiusi’, ben diciotto, con una scrittura orchestrale in cui dominano archi e fiati e che respinge sia il post-wagnerismo sia la dodecafonia, che allora stava cominciando a prendere piede. La ‘musica oggettiva’ si richiama a Bach ed anche al barocco, reinventa il Settecento con gli stilemi del Novecento dando rilievo a strumenti come il sassofono tenore. Il nuovo direttore musicale del Maggio Fiorentino, Fabio Luisi, ha diretto in modo magnifico una partitura complessa dando ottime sonorità che hanno letteralmente avvolto la sala. Sontuoso, specialmente nel terzo atto, il coro guidato da Lorenzo Fratini.
Ci sono ben 18 ‘numeri’: arie, duetti, ariosi, quartetti, anche una pantomina articolata su un duetto per flauti . Richiede una vocalità impervia. Tutti di grandissimo livello gli interpreti: da Martin Gunter (Cardillac), a Gun-Brit Barkmin (sua figlia), Ferdinand von Bothmer (l’ufficiale di cui quest’ultima è innamorata), Pavel Kudinov (il mercante d’oro), Johannes Chum (il Cavaliere), Adriano Gramigni (il sacerdote) e Jennifer Larmore (felicissimo ritorno sulle scene italiane nella parte della dama).
Teatro pienissimo. Dieci minuti di ovazioni. E fuochi d’artificio per festeggiare la nuova strada del Maggio.