I ” giovani”, prima degli anni 60, come categoria sociale non esistevano. Il mondo era a un colore solo, i figli erano solo oggetti da plasmare secondo la volontà dei genitori. Categoria, quella dei giovani, che nasce proprio come ribellione a una concezione della famiglia come luogo di coercizione e di manipolazione durato secoli. Se non capite cosa significa, leggete alcune righe della splendida autobiografia di Pattie Boyd, pubblicata in Italia dall’attivissima e benemerita casa editrice Caissa Italia (“Wonderful Today, la mia vita con George Harrison e Eric Clapton, 255 pagine, 22 euro, con inserto fotografico): “Capitava che venissimo picchiati per i nostri piccoli misfatti. Ci ordinava di piegarci in avanti e noi chiedevamo scusa per il dolore che ci aspettava (…) mia madre non interveniva mai nelle punizioni del mio patrigno, credo avesse troppa paura (…) Nei miei ricordi di bambina non mi sembra di aver mai ascoltato o preso parte a chiacchierate  spensierate a tavola. Non ci era permesso di parlare a tavola del mio vero padre, e non ci era permesso parlare alla tavola del mio patrigno. E se a tavola facevamo qualcosa che lo contrariava ci costringevano a stare in piedi in un angolo della stanza con le mani sulla testa. Dovevamo restare così a lungo e dopo un po’ non ce la facevamo più dal male”. Non stiamo parlando dell’Inghilterra vittoriana del XIX secolo, ma di quella degli anni 50, dove la concezione della vita familiare era la stessa: la negazione dell’affetto.



Non ci si meraviglia allora che una intera generazione, grazie alle maggiori disponibilità economiche della crescita economica del dopoguerra, appena avutane una possibilità se ne sia andata di casa per tentare di costruire un mondo migliore dove gli affetti si cercavano ovunque. Come sia andata a finire, è un altro discorso, ma il tentativo era sacrosanto.



Pattie Boyd ad esempio se ne andò a Londra, dopo aver vissuto una infanzia tra Africa, Scozia, Galles, Inghilterra, a fare la fotomodella. Fu lì, che appena ventenne, incontrò George Harrison, lui 21enne, quando le fu offerto di girare una parte da comparsa nel film “A Hard Days Night”, primo film dei Beatles. Quei giovani cercavano una felicità mai avuta: “Aprivamo nuovi orizzonti in ogni campo, facevamo esperienze di ogni tipo e credo vivessimo senza preoccuparci del domani. La gente viaggiava in posti come l’India e l’Afghanistan, le prime mete hippy, e portava a casa vestiti esotici, gioielli e droghe. Non avevamo modelli di riferimento non avevamo idea che le droghe fossero potenzialmente pericolose o che i nostri amici potessero finire col diventare tossicodipendenti e morire di overdose”. Erano i primi, e la fuga per la libertà si sarebbe trasformata in tragedia, ma allora ancora non lo si sapeva. o si cominciava solo a percepirlo: “Ci aspettavamo che Haight-Asbury fosse speciale, un posto creativo e artistico, pieno di beautiful peppole, invece era orribile – pieno di sbandati dall’aria spettrale, barboni e ragazzini brufolosi, tutti completamente flippati. Sembravano tutti fatti, mamme e bambini, e ci stavano talmente addosso da venirci a sbattere contro i talloni”. Ecco l’altra faccia del sogno degli anni 60.



Pattie Boyd sposa George Harrison, il Beatle tranquillo come si dice spesso di lui, ma che tanto tranquillo, almeno sessualmente, non lo era, in quanto approfittava con estremo piacere del suo ruolo di star concedendosi ogni avventura extra coniugale possibile. Pattie, ragazza semplice, che aveva visto accadere lo stesso con la madre, accetta mestamente il ruolo, rivedendo ciò da cui era fuggita. E a questo punto che il miglior amico di George, Eric Clapton, comincia a interessarsi di lei. E’ l’inizio della storia d’amore più devastante della storia del rock, che produsse dolore e pazzia, ma anche alcune delle canzoni più memorabili di sempre. Perché Clapton si innamora follemente della moglie del suo miglior amico, che lei delicatamente allontana pur essendone attratta. Per Pattie George Harrison aveva scritto Something, definita da Frank Sinatra la più bella canzone d’amore di sempre. Per Pattie Clapton inciderò addirittura un doppio album, “Layla and Other Assorted Love Songs”, un disco di canzoni capolavoro. Ma il rifiuto di lei porterà il chitarrista a sprofondare nell’eroina. La storia è conosciuta: stufa dei tradimenti di George, Pattie Boyd lo lascia e a fine anni 70 finalmente sposa Clapton, un sogno che si avvera ma che durerà pochi anni, ucciso dall’alcolismo del chitarrista che la trascina nel suo dramma devastante.

Oggi Pattie Boyd è una bella signora che vive con qualche amica una serenavecchiaia: “Adesso non permetto più a me stessa di perdere la testa per qualcosa di inaffidabile (…) sono felice di andare in paese a fare la spesa in tuta da ginnastica e senza un filo di trucco e se capita che qualcuno mi ferma per strada e mi chiede mi scusi lei non è Pattie Boyd?, sorrido e rispondo: sì sono Pattie Boyd”.

Questa autobiografia, scritta benissimo in modo coinvolgente e tradotta altrettanto bene dalla sempre brava Elena Montemaggi, fa il paio con quella pubblicata sempre da Caissa di Suze Rotolo, fidanzata storica del giovane Bob Dylan. E’ il mondo del rock visto dalla parte delle donne, e suona più sincero e meno fantasioso di quello maschile.