Jon Hiseman (Phillip John Hiseman, Londra, 21 giugno 1944- Sutton, 12 giugno 2018) è stato uno degli eroi di chi scrive. Ricordo quando suonò per la prima volta a Roma con i Colosseum al leggendario Piper Club in Via Tagliamento. Avevo sedici anni e fui costretto a scegliere, per ovvii motivi economici, fra i Colosseum e i Deep Purple che si sarebbero esibiti pochi giorni dopo. Non esitai un momento, fu così che lo vidi suonare la prima volta dal vivo. Eravamo affascinati, perché era uno dei pochi al mondo a suonare la “doppia cassa”; a dire il vero noi conoscevamo solo lui e Ginger Baker leggendario batterista dei Cream che guarda caso Hiseman sostituì agli inizi carriera nel gruppo di Graham Bond e poi Hiseman aveva suonato anche con John Mayall una delle nostre passioni dell’epoca.



La musica dei Colosseum, la sua band più celebre, rappresentava una delle punte di diamante del rock inglese corroborata da una efficace miscela di rock jazz e musica classica, un gruppo formato da fior di musicisti ((Mark Clarke al basso, Dave Greenslade all’organo, Dick Heckstall- Smith ai sax e Chris Farlowe alla voce) con un extraterreste alla batteria. I suoi soli facevano venire giù i teatri, erano un misto di tecnica, capacità percussiva e potenza. Durante il concerto eri lì ad aspettare una rullata, un passaggio rullante tom timpano eseguito a velocità pazzesca. Con i suoi a solo (non sono un batterista) era l’unico a farmi alzare dalla sedia per l’entusiasmo. 



Negli anni l’ho un po’ perso di vista fino a vederlo nuovamente in concerto a Roma il 12 aprile 2007, sempre con i Colosseum. In quella occasione suonò da manuale ovviamente, ma su una batteria ad una cassa, privilegiando le finezze e non manifestando più la straordinaria potenza che lo faceva sedere sullo scanno più alto rispetto agli altri batteristi. Mi prese un po’ di malinconia, quella che ti prende quando vedi i tuoi i miti invecchiare. La sua morte, giunta improvvisa a causa di un male incurabile, si aggiunge ai tanti, troppi eroi, di quella stagione, alcuni consumati dagli stravizi come alcool e droghe, ma tanti altri da un mestiere che è uno dei più duri quando si gira il mondo in tour massivi e a cachet non proprio milionari.



A Roma si esibì diverse volte, sia con i Colosseum al Teatro Brancaccio, sia con i Tempest (in un palasport gelido con trecento spettatori che mi costò 10 giorni di influenza) nei quali esordiva Allan Holdsworth un altro degli inarrivabili di quella generazione. E il suo concerto in trio con Mark Clark e lo straordinario Ollie Hansall alla chitarra? Con i Colosseum II ascoltati in concerto al Piper con Gary Moore (chitarra), Don Airey (tastiere), Neil Murray al basso e Mike Starrs (voce) tentò di arrivare al grandissimo pubblico incidendo tre album, ma non fu così pur potendo contare su compagni di viaggio di grande talento. Hiseman che personaggio non è mai stato, è rimasto così confinato in un ambito jazz rock senza mai più arrivare al grande successo.

Altri tempi, i primi festival pop, si girava con dei piccoli camioncini, la passione era tanta. Ne abbiamo viste di cose straordinarie, ma il ricordo di questo grande artista rimarrà indelebile. Purtroppo anche i Colosseum caddero sotto la mannaia della nascente critica italiana, formata per lo più da musicisti frustrati che usavano la penna con manie di protagonismo. 

Alcuni di essi ebbero a che dire anche di grandi album come COLOSSEUM LIVE straordinaria rappresentazione della grandezza di questa band. Il doppio album fotografa al meglio il gruppo con un Hiseman in forma straordinaria, memorabili anche gli a solo eseguiti contemporaneamente con due sax da Heckstal-Smith (scomparso nel 2004) che gareggiava in bravura con la voce di Farlowe. Registrato nel 1971 al Big Apple di Brighton e alla Manchester University COLOSSEUM LIVE contiene alcuni dei loro cavalli di battaglia: Rope Ladder To The Moon (Bruce/Brown), Walking in the Park (Bond), Skelington (Clempson/Hiseman), Tanglewood ’68 (Gibbs), Encore…Stormy Monday Blues (Aron T. Walker) e Lost Angeles (Greenslade/Heckstall-Smith/Farlowe).

Fra la discografia del gruppo come non ricordare l’album di esordio THOSE WHO ARE ABOUT TO DIE SALUTE YOU, il leggendario VALENTYNE SUITE pubblicata su etichetta Vertigo e THE GRASS IS GREENER, nel quale entrò in formazione Dave ‘Clem’ Clemson da quel momento sempre a fianco di Jon Hiseman anche nelle successive reunion dei Colosseum. Il nome della band venne in mente ad Hiseman durante una vacanza a Roma con la moglie Barbara Thompson, apprezzata sassofonista. Curiosa anche la trasformazione del suo nome da John in Jon, avvenuta per una svista del Melody Maker che in un articolo lo appellava appunto Jon.

Dopo le tante innumerevoli morti che hanno colpito il mondo rock, con la scomparsa di Jon Hiseman la malinconia ha preso il sopravvento ed ho pensato che mi avrebbe dato conforto, e sarebbe stato giusto, il saperli invecchiare accanto a noi.