Ci sono alcune foto, della prima metà degli anni 80, in cui si vede la pop star inglese Elton John seduto a un tavolaccio di legno in una umile abitazione con a fianco il leader di Solidarnosc, Lech Walesa. E’ l’abitazione dove il sindacalista stava trascorrendo gli arresti domiciliari dopo il colpo di stato filo sovietico del generale Jaruselski. Elton John, uno dei primissimi se non il primo artista rock occidentale invitato a esibirsi in Polonia, era andato a trovarlo, affascinato dalla figura di quel piccolo uomo che da solo aveva cercato di opporsi all’impero comunista di Mosca. 



Sebbene difficilmente il concerto di Elton John si possa definire un concerto rock come siamo abituati a viverli noi, con il pubblico in gran parte composto da membri della casta del partito comunista, con un dispiego di forze dell’ordine quasi maggiore degli spettatori e il manganello pronto per rimettere seduto chi si lasciava prendere dalla musica e osava alzarsi in piedi, l’episodio nella sua interezza la dice lunga di quanto la musica rock sia stata fondamentale nel processo del crollo del Muro di Berlino e come ci fosse una linea forte di reciproca empatia tra artisti rock e dissidenti. 



La famosa “rivoluzione di velluto” che il futuro presidente cecoslovacco Vaclav Havel lanciò a fine anni 60 prendeva nome e ispirazione dal suo gruppo preferito, i Velvet Underground di Lou Reed (“il velluto sotterraneo”) mentre Joan Baez che si era esibita in alcune abitazioni di dissidenti cecoslovacchi, scampò per pura fortuna all’arresto.

In Russia e in tutti i paesi dell’est europeo la musica rock era severamente bandita, nonostante questo molti giovani riuscivano a far entrare di nascosto i dischi dei Beatles, che poi artigianalmente ristampavano per un fiorente mercato clandestino a cui il KGB dava la caccia in modo sistematico, con la violenza e il carcere. Gruppi rock fiorivano nelle cantine di Mosca e Leningrado sistematicamente vittime di violenze della polizia quando venivano scoperti. Ma l’anelito di libertà si diffondeva comunque.



Quando Solidarnosc sfida il potere, gli U2 si fanno riprendere in un videoclip indossando la maglietta del sindacato; Little Steven, chitarrista di Springsteen, fa lo stesso. David Gilmour, l’ex chitarrista dei Pink Floyd, nel 2006 si esibirà in Polonia in occasione del 26esimo anniversario della nascita del sindacato.

Oggi una dittatura diversa ha preso piede in questi paesi, specie in Ungheria e Polonia, ma anche nelle Repubbliche ceca e slovacca, qualcosa di inimmaginabile ai tempi di Solidarnosc, anche sei i paesi dell’est, prima della spartizione di Yalta e della Seconda guerra mondiale, avevano sempre espresso simpatie verso il concetto di destra nazionalista. Sono i paesi del Patto di Visegrad, ufficialmente membri dell’Unione europea, nella pratica oppositori totali all’accoglienza dei migranti che rifiutano e fermano con la costruzione di muri, tristemente simili a quello di Berlino. Nel 2015 in Polonia vince le elezioni  il partito di destra Diritto e giustizia; nel novembre 2017 a una manifestazione di piazza vengono pubblicamente impiccati i manichini di sei deputati dell’opposizione; nello stesso mese 60mila militanti dell’ultradestra sfilano nel centro di Varsavia a suon di slogan razzisti con rappresentanti del governo ad applaudirli; lo scorso anno un cordone umano si dispiega lungo i confini del paese, ufficialmente con la scusa di difendere le radici cristiane del paese, più realisticamente per mostrare all’Europa che in Polonia non deve entrare nessun migrante, specialmente islamico, e così è infatti. 

Considerata per tutto l’Ottocento come la Palestina di oggi, la Polonia smembrata dalle potenze vicine, invasa, e colpita a morte nel suo nucleo ebraico come nell’esercito (il massacro russo di Katyn), oggi non ha però l’alibi inattaccabile, per giustificare l’ascesa delle destre oltranziste, della crisi economica. Ricordate i primi lavavetri che si videro ai semafori italiani nei primi anni 90? Erano ragazzoni polacchi in cerca di soldi, oggi hanno lasciato il posto a zingari e africani, perché la Polonia è uno dei paesi più ricchi d’Europa. Li abbiamo accolti quando fuggivano le miserie lasciate dal comunismo, oggi ce li ritroviamo qui, fotografati sulle spiagge di Rimini insieme a quelli del Fronte Nazionale in camicia nera a fare le ronde anti immigranti. Il nazionalismo polacco è in piena ascesa e si nutre del risentimento storico verso Germania e Russia: quando Donald Trump è venuto in visita in Polonia, oltre a firmare un bel contratto per la fornitura di missili Patriot, ha evitato accuratamente ogni parola sul massacro degli ebrei e anche la visita al ghetto di Varsavia. La destra polacca è diventata un modello per Vienna e per Praga come si è visto alle ultime elezioni. E quella chiesa che fu così efficace nella lotta al comunismo che fine ha fatto? A parte qualche elemento super tradizionalista, come un sacerdote docente della facoltà di teologia che qualche mese fa in una omelia si è augurato la morte di papa Francesco, il sindaco di quella Danzica dove nacque Solidarnosc, Pawel Adamowics, spiega che “L’episcopato polacco quest’anno ha diffuso un documento in cui definisce il patriottismo cristiano come ben differente dal nazionalismo, e afferma che il nazionalismo è un patriottismo non cristiano. Ciò nonostante i nazionalisti gridano in piazza ‘vogliamo Dio’. È uno stravolgimento degno dei libri di George Orwell, manipolano anche le parole della chiesa e così seducono specie i vulnerabili giovani”. E molti esponenti del clero vi aderiscono.

Ultimo passo dell’attacco alla democrazia è stata l’entrata in vigore, bocciata una prima volta nel 2015, della riforma della giustizia che di fatto mette la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo. La riforma, varata ad aprile e in vigore dal 3 luglio, abbassa l’età pensionabile per i giudici della Corte Suprema da 70 a 65 anni, costringendo così 27 giudici su 74 a ritirarsi prima della scadenza del mandato. Il numero dei togati della Corte sarà inoltre aumentato a 120, e tutte le nuove nomine verranno decise dal governo.

Torniamo così all’inizio della nostra storia. Qualche giorno fa i Rolling Stones, oggi simpatici vecchietti over 70, si sono esibiti a Varsavia. Il giorno prima Lech Walesa ha inviato personalmente una lettera a Mick Jagger, chiedendo da parte del gruppo rock un gesto di supporto per i giudici polacchi e contro la riforma della giustizia. Se si è mosso l’ex leader di Solidarnosc, vuol dire che la democrazia polacca è davvero in crisi. Se si è rivolto a un gruppo rock, vuol dire che, esattamente come ai tempi del comunismo, esso rappresenta ancora l’ultimo anelito di libertà, nonostante non sia più di moda come una volta. E Mick Jagger ha accettato, con una frase solo all’apparenza sibillina, ma invece pregna di contenuto: “Sono troppo vecchio per fare il giudice, ma non così vecchio da poter cantare”. Il regime può fare fuori le basi della democrazia, ma non fermerà l’anelito di libertà. E’ solo rock’n’roll, ma ci piace, viene da citare la vecchia canzone de gruppo stesso. Canzoni di libertà naturalmente, come è l’essenza della musica rock. Mick Jagger ha anche ricordato la prima volta che gli Stones si esibirono in Polonia: era il 1967, ha detto, e i tempi da allora sono cambiati. Ma non in meglio, a quanto pare. 

Oggi non è più il tempo per rivoluzioni di velluto, ma, come disse una volta il cantautore americano Elliott Murphy, “il rock’n’roll è l’unica cosa onesta che ci è rimasta”. Teniamoci stretti Lech Walesa e Mick Jagger.