Un brivido attraversa un frangente infinitesimale di pentagramma. Lo spazio sonoro non è stavolta popolato da ricami e narrazioni d’impronta acustico-bucolica. Ritmi e portamenti popolari passano il testimone a un allure d’autore, il folk crudo e ancestrale viene rilevato da un clima tipicamente da Folkstudio, almeno così il pianoforte della protagonista sembra suggerire con la sua asciuttezza evocativa. La piccola maga friulana ci riporta così nel suo mondo, spiazzandoci e attirandoci nella sua inconfondibile narrazione lirico-musicale. Il tenore drammatico di Presunta realtà apre il nuovo album di Serena Finatti “Fragile e Fiera”, lanciando un monito che percorrerà gran parte del lavoro. Una lettera aperta – tra invettive, lacrime e purificazione – agli omicidi ma forse anche più ai suicidi dell’anima nella contemporaneità.
Il tenore da musical fiabesco che contrassegnava “Serena Più Che Mai” (2014), si dissolve in gran parte ma si riallaccia per il testo che lo concludeva Bes di Diu all’apertura del nuovo disco. Il dio denaro rivive e si espande nell’apparenza spersonalizzante di Presunta realtà. Il pianoforte intimamente cantautorale chiama in scena gli altri strumenti. Chitarra, percussioni assortite e claps disegnano una danza agreste dolente e accorata. Difficile dire quale sia il meglio tra questo e il brano successivo, una Trasparenze spumeggiante e ricca degli inconfondibili pieni e vuoti delle larghe ballate in campo aperto della Finatti sin dalla prima maniera dei Deja. C’è l’inseparabile Andrea Varnier – produttore, chitarrista e complice d’arte e di vita – che con la figurazione ostinata accende un clima che viene reso incandescente da una Finatti che alterna momenti di vibrante lirismo a una voce che arriva letteralmente a frustare l’aria al culmine dell’invettiva.
Sciabolate che proseguono con il quadro social di Per un click dove la nostra torna a schierare i suoi loop vocali, ma è un attimo che annuncia l’altra faccia della medaglia, quella di vite spezzate che non smettono di diffondere umanità e desiderio di bene. E’ la sezione delle canzoni per destinazione. Chissà è la dedica a Giulio Regeni degna e tutt’altro che banale, qui non c’è prevedibilità polemica ma un incontro – tra l’immaginario e il reale – nel luogo della prima giovinezza calcato da entrambi. Nella chiusura corale e ossessiva che mette insieme angoscia e affezione (con il bel sostegno dell’ensemble quasi interamente femminile Sing&Feel), si rivela la potenziale chiave che tiene insieme il disco. L’amore è davvero più forte delle miserie umane e della morte? La bellissima title track Fragile e fiera – canzone per destinazione per eccellenza – sembra stare lì a gridarlo. Qui la Finatti, parlando di violenza sulle donne con grande delicatezza, riunisce in un solo brano le sue differenti espressioni e sfumature musicali. I loop vocali trasfigurano la tragedia in fiaba, il coro finale con Sing&Feel – tra ossessione e apoteosi – è una sorta di gospel di una nuova resurrezione. Nel video del brano l’autrice guarda se stessa riflessa nel volto fanciullesco di Elisa Perucci (una delle Sing&Feel che canta la parte solista nel primo refrain), come a rivendicare un’innocenza perduta.
E poi ancora? C’è la predilezione animalistica dell’autrice, in una Nove vite che non manca di una parte giocosa e rilassata condotta dalla bella digressione solista di Varnier, l’omaggio all’Alice della indimenticabile Anìn a Gris riletta nella veste folk congeniale alla nostra e – con l’ariosa e diretta melodia finale di Abbracciami – una dichiarazione di attaccamento ai segni più immediati e concreti di quel desiderio di bene, che chiude e legittima un percorso fatto di tensioni dure ma mirate alla riscoperta di un esistente che non smette di alimentare e far stupire delle cose della vita.