Del Festival ‘Opus’nei ‘Giardini dell’Accademia Filarmonica Romana’, Il Sussidiario ha trattato il 5 luglio  in occasione della sua inaugurazione e dei primi concerti in programma. Vi sono tornato il 13 luglio per la penultima serata della manifestazione. Due concerti nel ciclo di quelli organizzati in collaborazione con gli istituti di cultura stranieri presenti a Roma: quello giapponese (il concerto delle 20) e quello portoghese (il concerto delle 21, 45). Il primo al chiuso nella spartana ma accogliente ed acusticamente perfetta Sala Casella. Il secondo all’aperto nel suggestivo palcoscenico ricavato dalla scena approntata nel 2001 da Denis Krief per la Filarmonica in occasione dei concerti barocchi del 2010-2011 – un palcoscenico letteralmente immersa nella parte più profonda del parco.



La connessione tra la musica giapponese e quella portoghese è tanto labile da pensare quasi inesistente e difficile per dare omogeneità ad un dittico nella medesima serata. Tuttavia, il programma è stato approntato con cura. A dare omogeneità ai due concerti era l’elemento folk al centro del primo concerto ed anche in parte del secondo. Il primo era basato su una rassegna della musica folk antica e moderna in varie’ prefetture’ del Giappone (dal quasi siberiano estremo Nord alla semi-tropicale Okinawa). Il secondo era un concerto di fado, musica al tempo stesso ‘forte’ e ‘popolare’. In parallelo, musicalmente, i due concerti si giustapponevano: fortemente ritmico (con numerosi elementi ironici) il primo, mentre essenzialmente melodico (ed intriso di melanconia) il secondo. Ambedue caratterizzati dalla presenza di strumenti tipici dei due Paesi ma sconosciuti nella scrittura musicale italiana.



Protagonisti del primo concerto il soprano Akari Mochizuki ed il compositore e suonatore di shamisen Hibiki Ichikawa. I due risiedono a Londra, da dove offrono concerti in tutta Europa. Hanno anche una discreta discografia e tengono corsi di musica giapponese. Lo shamisen è un antico strumento a corde nipponico, molto versatile. La vocalità di Akari Mochizuki , tanto nasale da sembrare quasi francese, era accompagnata, oltre che dallo shamisen dal minyo-daiko, il tamburo tradizionale nipponico suonato dai lei stessa. Occorre ricordare che in Giappone il confine  tra musica popolare e musica ‘forte’ è molto più tenue che in Europa occidentale e che la musica giapponese, con la sua scala pentatonica, ha influenzato numerosi musicisti del Vecchio Continente (ad esempio, Debussy, Scelzi, Orff). La musica contemporanea ‘forte’ giapponese è di alto livello, come dimostra, ad esempio, l’ultimo album , appena uscito per la Naxos, di lavori orchestrali di Toshio Okosawa .



La rassegna di musica folk nipponica, con alcune improvvisazioni strumentali espressamente concepite per l’esecuzione in Italia ed una ‘canzone’ di omaggio a Roma, ha consentito di percepire le differenze tra la musica popolare del Nord e del Sud del lungo Impero del Giappone. Alcuni brani ‘meridionali’ ricordavano quasi le musica a corde napoletana (di cui ricordo, ad esempio, un concerto nel Teatro di Corte nella splendida Regga di Caserta). Più rarefatti e quasi minimalisti  quelli delle prefetture del Nord.

Notissimo in Italia, il fado portoghese nelle sue varie declinazioni. Nella performance di Custòdio Castello (chitarra portoghese) e Miguel Carvalhinho (chitarra classica), noti anche a ragione della ricca discografia, sono stati presentati brani dall’ultimo album di Castello, Maturus, composti per una chitarra portoghese a otto corde chiamata ‘ chitarra siamese’ in quanto, a otto corde, combina la chitarra ‘di Lisbona’ e la chitarra ‘di Coimbra’ nella stessa cassa di risonanza. Nella profondità densa di alberi ad alto fusto, il fado sembrava ancora più languido.

Molti giovani tra il pubblico, sia del primo sia del secondo concerto, e calorosi applausi.