Strana e incomparabile vicenda quella della musica irlandese. Quello che nella storia, nell’epopea e nella cultura generata dalla musica rock di circa tre lustri (tra la fine dei ’60 e i primi anni 80) veniva legato all’immaginario di locali di varia grandezza ma di una certa imponenza, nel caso dell’Isola Smeraldo è segnato da nascita ed evoluzione di un semplice pub, quel Leo’s Tavern che festeggia proprio in questi giorni il suo cinquantennale di attività, lanciato da Leo Brennan proprio sulla scorta dei continui fermenti musicali che nello stesso frangente temporale interessavano in parallelo il mondo del rock.



Mentre lì prendeva corpo una rivoluzione artistica determinata dal moltiplicarsi di incontri in ambito extra-familiare, specialmente quello scolastico e degli svariati circoli intellettuali, in Irlanda si assisteva alla razionalizzazione di quello che era un fenomeno tipicamente autoctono. La coltivazione e la crescita delle forme artistiche assecondava il livello dei legami di sangue di vario grado, la famiglia, le affinità, i clan. In questo ambito e in questo luogo di imprevedibili slanci vitali, prende forma e sostanza la straordinaria avventura dei Clannad e il loro approccio alla primissima parte di carriera. Il dissotterramento e la rivisitazione accurata del patrimonio della tradizione irlandese riletto alla stregua dei sussulti dell’immaginario musicale dei seventies, il tutto nel giro di meno di un decennio e di cinque album, dall’esordio eponimo (1973) al sigillo con “Crann Ull” (1980) di questa fase liberamente ma genuinamente attaccata alle radici.



I cinquant’anni della leggendaria taverna del vecchio Brennan (venuto a mancare nel 2016), sono occasione per i figli Moya, Pol e Ciaran (e per Noel, unico superstite dei due zii Duggan) di celebrare il frutto migliore e più prelibato di questa prima maniera dell’irish folk revival, con la pubblicazione del lussuoso doppio CD (oltre che doppio vinile) “Turas 1980” registrato in terra tedesca all’Università di Brema il 29 gennaio 1980 e trasmesso originariamente dalla radio cittadina.

Turas in gaelico significa “in viaggio” e l’album è il fedele resoconto di quell’interminabile itinerare di quegli anni in concerti davanti a qualche centinaio di persone. La scaletta si incarica di passare la spugna su quella fase della parabola creativa dove a farla da padrone è il playing asciutto ma espressivo, austeramente intimo ma sottilmente brillante dei singoli componenti con tanto di look stradaiolo e trascurato in pieno hippie style. La densità rotonda e il soffio puro ed etereo della voce di Moya, la grazia sommessa dei suoi tocchi di arpa, la regia musicale saldamente nelle mani del supervisore Ciaran (contrabbasso, chitarra) e di quelle di Pol (flauto, tin whistle, chitarra), impareggiabile jolly di pennellate all’insegna di un folkpower atemporale. Senza dimenticare il contributo oscuro essenziale di Noel (chitarra) e del vice-tuttofare Padraig (chitarra, mandolino, armonica) scomparso anche lui nel 2016. Il tutto condito dalle armonie vocali equamente suddivise su ciascuno, con ricorrenti unisono che evocano antichi quadri in bianco e nero di antenati portatori e innovatori dello spirito più profondo della terra d’origine.



E poi quelle canzoni, con il gaelico dominante di titoli perlopiù illeggibili e impronunciabili che spaziano tra empatia amorosa, trasfigurazione e sussulti di popolarità ferrea e senza secondi fini, dagli andanti strumentali soffusi come la Turas Carolan posta all’inizio del concerto, ai vivaci e gioiosi danzanti come An Cruscin Lan, Crann Ull e Two Sisters, ai doppi sensi scherzosi di Gathering Mushrooms, al gioco delle parti di Teidhir Abhaile Riu fino alle catarsi malinconiche d’esilio e distacco come An Buinnean Bui e Suil a Ruin.

In fondo al percorso fa capolino quell’estremità espressiva che lascia intravedere futuri e proficui sviluppi. Le armonie vocali concentriche e la musicalità fluida di Dulaman e la propensione alla jam di una dilatata Nil Sé’n La, dicono già di un gruppo che si lancerà di lì a poco nelle contaminazioni, quelle rintracciabili nelle raffinate asimmetrie tra folk-jazz, art-rock e world music delle digressioni strumentali dello splendido “Fuaim” (1982 quello che vedrà l’apparizione di Enya nel gruppo), di una preziosa Thios Fa’n Chosta e del requiem immersivo di Theme From Harry’s Game. Album dove vengono aggiunti in larghi frangenti tastiere e batteria e in cui sono gli stessi Pol e Ciaran a firmare di proprio pugno brani nuovi di zecca sulla scia del lascito traditional, creando le premesse delle successive avventure con esiti alterni ma con classe intatta in ambito pop-rock.

In questo “Turas 1980” troverete ancora la scultura sonora dei Clannad estratta dall’essenza primigenia del sound irlandese, un attimo prima della loro seconda storia all’insegna degli arricchimenti propri di un suono che andrà a spostare il cursore sulle coordinate della rock band.