La sera del 12 agosto è parso di essere tornati ai vecchi tempi del Rossini Opera Festival (ROF): nel delizioso Teatro Rossini al centro della città – invece che nella scomoda Adriatic Arena nella periferia industriale, un’arena ricavata per necessità da uno stadio di pallacanestro – il pubblico si divertiva e sorrideva sin da quando era accompagnato in sala da coristi e comparse dello spettacolo. Si rappresentava Adina, titolo raro e prezioso nella produzione rossiniana.



Raro perché frutto di una commissione fatta a Rossini nel 1818, quando era convalescente a Bologna, dal Teatro Nacional Säo Carlos di Lisbona. I tempi erano stretti perché il committente voleva ingraziarsi la “prima donna”. A causa della fretta, pare che Rossini compose solo tre numeri, ne abbozzò un altro, prese tre numeri dal suo “Sigismondo” e affidò a collaboratori la composizione degli altri numeri e dei recitativi. Il suo occhio vigile vegliò sul tutto. Non è chiaro perché, dopo tanta fretta, la breve opera (un atto unico di poco più di un’ora e un quarto) andò in scena a Lisbona solo il 22 giugno 1826, otto anni dopo la commissione. Nessun’altra esecuzione è documentata fino alla ripresa moderna, avvenuta all’Accademia Musicale Chigiana di Siena del 1963. Prima di approdare al ROF nel 1999, è stata proposta dal Teatro Comunale di Bologna nel 1981, avendo anche l’onore di una diretta televisiva.



Il libretto ripropone una classica vicenda di ambientazione esotica che, da La rencontre imprévue di Gluck al Ratto dal serraglio di Mozart, da L’Italiana in Algeri al Turco in Italia dello stesso Rossini, è un tema tipico nell’opera buffa o semiseria tra Settecento e Ottocento. Siamo a Bagdad, nel serraglio del califfo. Egli vorrebbe sposare la schiava Adina, che gli ricorda i tratti della donna un tempo amata. La fanciulla dapprima acconsente, ma in seguito, nel rivedere il giovane Selimo che credeva morto e del quale era innamorata, cerca di fuggire con lui. Alla fine, dopo varie vicissitudini, il califfo scopre che Adina è sua figlia e può quindi acconsentire con gioia alle nozze con Selimo. Trama esile, e in gran misura scontata, ma le note di Rossini (e dei suoi collaboratori) rendono il lavoro un calice frizzante di buon prosecco di classe. La musica è preziosa perché sempre in bilico tra melodia e ironia.



Contribuisce non poco anche la produzione molto più divertente di quella, tra il sentimentale e il melanconico, affidata dal ROF a Moni Ovadia nel 1999. È un allestimento in coproduzione con il Festival di Wexford. Mi auguro che venga ripreso in circuiti italiani: si presta perfettamente a un dittico con una delle farse giovanili rossiniane. La regia di Rosetta Cucchi, di origine pesarese, le scene di Tiziano Santi (un’enorme torta nuziale con numerose praticabili), i costumi di Claudia Pernigotti e le luci di Daniele Naldi traspirano allegria. Il pubblico avverte che i cantanti (tutti ottimi attori) si divertono anche loro.

Nel cast eccelle Lisette Oropesa, affermata belcantista nei maggiori teatri europei e americani. Molto bravi Vito Priante, Levy Sekgapane, Matteo Macchioni e Davide Giangregorio. L’Orchestra Sinfonica G. Rossini, che tra breve debutterà al prestigioso Musikverein di Vienna, era diretta con brio da Diego Matheuz. Spigliato il coro del Teatro della Fortuna M. Agostini di Fano.