Sesto album in studio nella trentennale carriera degli Alice In Chains, il primo su BMG/Sony, per la grunge band che più ha flirtato con l’hard rock e il metal. È il terzo con il cantante/chitarrista William DuVall al posto del compianto Layne Staley, anch’egli dietro al microfono per tre long playing, l’ultimo dei quali – l’omonimo del 1995 – registrato in quei Bad Animals Studio di Seattle dove i rinati Alice In Chains sono tornati, vent’anni dopo, a gettare le basi di questo Rainier Fog, completato poi tra Nashville e Los Angeles, con la supervisione del produttore Nick Raskulinecz (Foo Fighters, Deftones, Stone Sour).
Cinque anni sono trascorsi dal precedente The devil puts dinosaurs here, da cui il nuovo lavoro si distanzia per una maggiore compattezza sonora, pur essendo privo di singoli anthemici come Hollow, Stone e Voices. Rainier Fog ci riconsegna una formazione tirata a lucido, come abbiamo avuto modo di apprezzare nelle due date estive in Italia, in cui l’amalgama fra William DuVall e gli storici Jerry Cantrell (chitarre/voce/autore principale), Sean Kinney (batteria) e Mike Inez (basso) appare ormai compiuto, soprattutto nelle armonizzazioni vocali col leader, da sempre cifra stilistica del quartetto più tormentato di Emerald City. “È il disco che non avevamo ancora fatto, ma contiene anche tutti gli elementi che ti aspetteresti da noi. Siamo fieri delle performance catturate in studio” – ha dichiarato Cantrell presentandolo.
Si parte con The one you know, che anticipò l’album qualche mese fa: se il riff principale potrebbe suonare già sentito, l’apertura melodica del ritornello lo fa subito dimenticare. La title-track riporta indietro le lancette agli anni ’90: il riff, l’incedere ritmico da headbanging e la vocalità contrita conducono a uno special armonizzato alla perfezione; si respira freschezza, anche nel sound, più aperto e spazioso dei due dischi precedenti. Red Giant, dalla progressione mastodontica, è rarefatta come la nebbia del monte Rainier nello Stato di Washington, che campeggia in copertina; psichedelia tellurica e intarsi ritmici sofisticati lanciano un assolo tipicamente cantrelliano. L’acustica Fly propone soluzione vocali che suonano inedite, sebbene sulla scia del trademark Alice In Chains; Jerry Cantrell dipana la sua vocalità dolce e sofferta, lasciando il segno con la poesia della sua sei corde. Drone parte con un riff zeppeliniano, per ripiegarsi su strofe dal sapore sludge metal; melodie vocali ancora sugli scudi, poi un cambio improvviso, con arpeggi barocchi che richiamano gli sfortunati Days of the New.
Deaf Ears Blind Eyes prosegue nel solco di un suono consolidato ma, al contempo, svecchiato dai trascorsi importanti. Maybe riporta la tradizione americana delle voci armonizzate a nuovi vertici espressivi; gli spazi naturalistici del Nord-Ovest si stagliano in lontananza, quando Sean Kinney imprime una sterzata ritmica che conduce a un intenso ritornello; Cantrell elettrifica l’atmosfera con tocchi semplici ed efficaci, che ne hanno fatto uno dei chitarristi più distintivi della sua generazione. So Far Under – secondo singolo – vede DuVall più coinvolto nella scrittura, fino al punto da firmare un assolo efficace e personale, come il riff portante del brano; il ritornello è fra i più incisivi del lotto. Never Fade, dal sapore retrò anni ’80, è una delle pochissime canzoni up-tempo del gruppo e il pensiero va a So Close, anno di grazia 1995; nelle strofe, la voce di William si avvicina a Layne Staley come mai prima, per poi tornare sui suoi binari in un ritornello arioso e indimenticabile. Si giunge all’epica chiusura di All I Am, dove l’intensità emotiva è alta. La lunga traccia è la degna conclusione di un omaggio ai grandi nomi della scena musicale di Seattle, ascesi a quella sorta di Olimpo artistico rappresentato dall’iconico monte Rainier; dopotutto, i ben informati al di là dell’Oceano sostengono che la figura di spalle sulla cover sia il buon Layne Staley; sensazionalismo o verità, poco importa: “Alcune cose durano / Qualche volta non le superi mai” – cantano i due vocalist su Rainier Fog. Quest’album magari non sarà a livello di Black gives way to blue, il ritorno sulle scene nel 2009, ma pone gli Alice In Chains di fronte a una nuova fase di consensi.
(Giuseppe Ciotta)