Quest’anno il Festival Puccini di Viareggio e Torre del Lago ha presentato, oltre a quasi tutti i maggiori titoli del compositore lucchese, una gradevole serie di concerti nella Villa Paolina (di Viareggio) e due opere rare Motezuma di Baldassarre Galluppi e Il Convitato di Pietra di Giovanni Pacini. Ho assistito alla seconda il 24 agosto a Villa Paolina. E’ una riscoperta, di un compositore e di un titolo, che da qualche tempo gira per i teatri della Toscana. Ascoltarla in quel che resta dei giardini della Villa che fu di Paolina Bonaparte ha un sapore particolare.



In primo luogo, Giovanni Pacini, nato a Catania nel 1796 da due cantanti che ‘giravano’ per teatri italiani, si stabilì in Toscana (fu anche Sindaco di Viareggio) e lì produsse gran parte dei suoi lavori e diresse importanti istituzioni musicale. In secondo luogo, uomo attraente, fu amante di Paolina Bonaparte che, per amor suo, si fece costruire, a Viareggio, una villa il cui parco giungeva sino al mare. In terzo luogo, Il Convitato di Pietra venne composto per una recita privata, a Palazzo Belluomini di Viareggio, per una piccola orchestra da camera e come cantanti congiunti ed amici del compositore, nonché un piccolo coro maschile di dilettante. Venne messo in scena nel salone (o forse nel teatrino – pare ce ne fosse uno del Palazzo), ebbe successo ed alcuno mesi dopo arrivò nel Teatro della città tirrenica. Risale al 1832, epoca di Rossini, Bellini e Donizetti, antecedente di circa vent’anni della rivoluzione che Verdi portò al teatro in musica. Nella scrittura non si sentono eco di Rossini, ma se ne avvertono di Bellini e Donizetti, con i vincoli di un piccolo organico orchestrale e di voci scelte nel cerchio di familiari ed amici.



La trama segue, di massima, il Don Giovanni di Da Ponte-Mozart, ma non ha le pretese di esserne un’imitazione. Nelle copie del lavoro (il libretto è attribuito a Gaetano Barbieri) viene denominato o operetta o farsa, quindi spettacolo leggero e gradevole senza l’afflato drammatico e demoniaco del capolavoro di Mozart-Da Ponte, che in quegli anni circolava in Italia in versioni per lo più ridotte.

L’orchestra del Festival Puccini, diretta, da Daniele Ferrari, ha messo in risalto l’eleganza della partitura e l’abilità nell’uso del contrappunto e del pizzicato. Come in numerose opere dell’epoca (anche di Bellini) il golfo mistico è soprattutto di supporto alle voci, raffinati ‘numeri’ musicali in cui c’è una vera e propria gemma: il quintetto del secondo atto che regge molto bene il confronto con lavori dei maggiori compositori dell’epoca.



Efficace e curata la regia di Giandomenico Vaccari. In un piccolo palcoscenico da giardino con un minino di attrezzeria e bei costumi (probabilmente noleggiati) punta molto sulla recitazione di un cast giovane e spigliato.

Tra le voci spiccano Vladimir Reutov (Don Giovanni, un tenore di agilità). Alessandro Ceccarini (Ficcanaso ossia Leporello, baritono) e Daniela Nuzzoli (Donna Anna, un contralto), Michaela Sarah D’Alessandro è Zerlina, ben impostata ma volume esile per uno spettacolo all’aperto. Molto buoni Alessandro Biagiotti (Masetto), Massimo Schillaci (il Commendatore) e Francesco Napoleoni (Don Ottavio).

Tra il primo ed il secondo atto, breve pioggia estiva. Nessuno si è perso d’animo: pubblico ed artisti hanno asciugato il palcoscenico e le sedie e lo spettacolo è ripreso.

Una Pacini Renaissance? A metà degli Anni Novanta  la riproposta del melodramma L’ultimo giorno di Pompei al Festival della Valle d’Itria ed al Massimo Bellini di Catania non ebbe un grande seguito, Ma un’operina leggera ed elegante adatta a circuii di ‘teatri di tradizione’ potrebbe avere esiti ben differenti.