Dopo un quarto di secolo il Festival di Salisburgo ha riproposto un nuovo allestimento di Salome l’opera che nel 1905 consacrò Richard Strauss tra i grandi compositori di teatro in musica del Novecento e, al tempo stesso, fece scandalo per l’arditezza sia dei suoi contenuti sia della scrittura orchestrale (densa di dissonanze) e vocale (con acuti lunghi ed impervi). La produzione è allestita nella Felsenreitschule in cui, per l’occasione i palchi da dove il Principe Arcivescovo ed i suoi ospiti osservavano i giochi equestri sono chiusi da teloni dipinti in pietre. “Pietre che parlano a noi”’, come dice un insegna su uno dei trafori scavati nella montagna di Salisburgo.
La regia e le scene sono di Romeo Castellucci, la drammaturgia di Piersandra Di Matteo, i costumi di Silvia Costa; in buca i Weiner Philharmoniker diretti da Franz Welser-Most. Degli interpreti diremo successivamente ma non si può non citare sin da ora, la protagonista, il soprano lituano Asmik Grigorian, piccola, minuta, quasi fanciullesca ma una vera e propria forza della natura sia come attrice sia come cantante.
Basato su un atto unico di Oscar Wilde, del quale Strauss e Hedwig Lachmann (traduttore in tedesco del lavoro di Wilde) limarono i dibattiti a carattere filosofico ed eliminarono i personaggi minori, l’opera presenta notevoli differenze rispetto al testo di Wilde. Soffermarsi sulle differenze di fondo tra le due Salome, quella di Wilde e quella di Strauss, permette di comprendere la chiave interpretativa della rappresentazione scenica. L’atto unico di Oscar Wilde è simbolista: il Battista rappresenta la nuova etica, Erode e la sua Corte sono la corruzione del passato, Salome è lo strumento perché i due mondi comunichino. Per Wilde, inoltre, la sedicenne Salome rispecchiava il sedicenne Alfred Douglas, di cui era innamorato e per il quale finì in prigione. In un saggio sull’opera, Stephan Kohler racconta come Strauss restò piuttosto freddo di fronte alla rappresentazione teatrale del lavoro di Wilde (regia di Max Reinhard), ma si decise a comporre l’opera ammirando un quadro di Gustave Moreau, maestro del decadentismo visionario. Strauss quindi guarda più a tale decadentismo che alla sfida tra il mondo di Erode (e della depravata Erodiade) da un lato e il mondo del Battista dall’altro. Salome non è più il raccordo tra due universi, l’uno all’altro impenetrabili, ma una figura altamente tragica: aspira inutilmente a liberarsi da una perversione a lei connaturata come il peccato originale (anche in seguito alla violenza subita da bambina) per finire a scivolare nella degradazione più abietta, quella della necrofilia.
Nel 1905 lo scandalo non era dato soltanto dalla storia raccontata ma anche dall’aspetto rivoluzionario della musica: stratificazione di diversi livelli armonici, ampliamento delle tonalità verso la politonalità, uso estremo delle dissonanze e abili impasti tra le voci (che dal declamato scivolano nei cantabili) e un organico orchestrale di circa 110 elementi. Infine da non dimenticare la maestria nella scrittura dei singoli strumenti o gruppi di strumenti (si pensi ai si bemolle acutissimi del contrabbasso che accompagnano gli spasmi erotici di Salome durante l’esecuzione del Battista). E’ necessaria, per rendere a pieno l’orchestrazione, un’orchestra di solisti, come, per l’appunto, sono i Weiner Philharmoniker.
Questa produzione di Salome si differenza marcatamente dalle versioni decadentiste d’inizio secolo a cui siamo usi. È ambientata in un contesto volutamente a-temporale , pur se i costumi ricordano l’inizio del secolo scorso, quando Vienna era il principale centro culturale europeo dove nascevano la psicanalisi, la dodecafonia e le nuove arti figurative. La pietra domina l’immenso palcoscenico nudo. Un vero coup de téâtre consiste nell’eliminare la danza dei sette veli dalla scena: solo una donna in posizione fetale su una grande pietra, mentre in buca risuonano le note di Strauss.
In un luogo caratterizzato da un grande muro di pietra, ma dove nessuno, proprio nessuno, è senza peccato. Salome (Asmik Grigorian) ammalia tutti; arriva a turbare lo stesso Giovanni Battista (Gábor Brets), Ciò causa il suicidio di Narraboth (Julian Prègardien), il capitano delle guardie sinceramente innamorato della sedicenne. Erode (John Daszak) è un tetrarca palestinese in ottimi rapporti con gli ebrei (ne ospita quattro ortodossi); è viziato, compromesso con il potere e vizioso (si droga) ma ha orrore della necrofilia (inorridisce di fronte a Salome che bacia la testa tagliata di Giovanni Battista). Erodiade (Anna Maria Chiuri) è una vissuta baldracca, ormai giunta agli ultimi fuochi.
Asmik Grigorian sfoggia una sua voce wagneriana, apprezzata ormai in tutto il mondo: con i suoi acuti riempie il vastissimo teatro, con i suoi pianissimi lo incanta. Giovanissima, esplode di sex appeal. Come si è detto non danza ma fa vere e proprie acrobazie sceniche. Il suo deuteragonista è Erode, tenore dal registro molto alto a cui si contrappongono quello centrale di Narraboth, e quello baritonale di Giovanni Battista (anche lui con acuti da riempire la sala). Tutti grandi attori. Franz Welser – Most e i Weiner leggono la partitura in modo infuocato, ma al tempo stesso delicato, evocando richiami lirici, nella pur sensualissima danza.
Il primo agosto sala strapiena, pubblico delle grandi occasioni, attenzione e silenzio assoluto durante la rappresentazione, seguiti da dieci minuti di vere e proprie ovazioni.