“Ci stavamo ribellando contro la ribellione. Se tutti andavano a est, noi saremmo andati a ovest. Eravamo un tipo di ribelli con una causa, era come un istinto di separarci dal resto del gruppo” dice Robbie Robertson in una intervista di alcuni anni fa, parlando del disco di esordio del suo gruppo The Band, “Music From Big Pink”. L’unica “band” così importante da non aver bisogno di aggiungere altro: erano “la band” e basta. D’altro canto essere stati i musicisti che avevano accompagnato Bob Dylan nel tour più importante della storia del rock, quello della svolta elettrica dell’ex folksinger, davo loro a ragione questo titolo. A dirla tutta, la loro storia era ancora più vecchia. Si erano infatti fatti le ossa sin dalla fine degli anni 50, ancora ragazzini, suonando nelle più pulciose taverne e bar del Canada accompagnando l’incredibile cantante di rockabilly, Ronnie Hawkins. Conoscevano tutto del blues e del rock’n’roll.
Quando, 50 anni fa, nell’estate del 1968, esce il loro disco d’esordio, nessuno fa quel tipo di musica. E’ l’anno delle contestazioni, del maggio francese, e la musica rock sta cercando di interpretare tutto il caos che sta esplodendo. Mentre Jimi Hendrix, i Cream, gli Who spaccano le orecchie (e gli strumenti) dei loro ascoltatori con musica fragorosa e i Beatles e Brian Wilson dei Beach Boys cercano “il suono” perfetto esplorando nei meandri della psichedelica e del pop avanguardista, cinque personaggi che sembrano usciti da una vecchia fotografia virata seppia dei tempi della Guerra civile, sintetizzano in un impasto sonico originale e unico le radici del country, del blues, del gospel, del primo rock’n’roll, R&B, inni religiosi, marce delle jazz band di New Orleans.
Si chiamano Robbie Robertson, chitarrista e autore della maggior parte dei brani; Rick Danko, bassista, violinista e cantante; Garth Hudson, tastierista; Richard Manuel, voce e pianoforte; e Levon Helm anche lui voce e batteria. Non hanno una voce unica, un frontman come tutti i gruppi rock che catalizza e cattura l’attenzione del pubblico, ma sono una vera “band”: tre voci soliste che si amalgamo e si elevano a turno, nessun “guitar hero” che si prende tutto lo spazio, ma cinque strumenti che ora escono in primo piano, ora si dilatano in un suono comune e misterioso. E, soprattutto, nessun assolo di batteria come andava di moda allora…
L’aver passato una intera estate e un autunno insieme a Bob Dylan, nelle montagne Catskills dove un anno dopo si terrà il festival di Woodstock, a suonare in una cantina vecchie canzoni degli anni venti e rockabilly degli anni 50, li ha forgiati, ha dato loro una indicazione. Adesso si sentono i depositari di un suono antico come la Bibbia: sono dei fuorilegge, dei predicatori, dei commercianti di whiskey clandestino sbucati fuori dalle antiche leggende del Far West. E hanno i capelli corti.
“Le loro canzoni” dirà anni dopo il loro produttore John Simon “erano come un tesoro nascosto della tradizione americana piuttosto che canzoni nuove di artisti contemporanei”.
“C’era un sacco di magia a Woodstock” racconta Garth Hudson “ovunque tu andassi sentivi leggende che si riflettevano nei nomi dei paesi o delle strade, come Warwasing, Ohayo, Bearsville Flats…”. Ovviamente un posto così non poteva che produrre musica magica, come il sussurrato gospel di I Shall Be Realesed (scritta da Bob Dylan, ma allora ancora inedita) con quell’intro di pianoforte che sembra provenire da un altro mondo; la ballata da predicatori del vecchio West con le voci di Danko, Manuel e Helm a rincorrersi e a unirsi e poi di nuovo a sgusciare via di The Weight; l’antica lugubre melodia di Long Black Veil; la bellezza popolare come i migranti scozzesi o irlandesi di Caledonia Mission; la malinconia cosmica di Tears of Rage, parole di Dylan musicate da Manuel. Tutto congiurava a un quadro di sconosciuta e inquietante bellezza, profonda come le acque del fiume Hudson poco distante.
Il problema era che quel mondo con cui The Band cercava di connettersi era scomparso, spazzato via dal capitalismo emergente, dalla commercializzazione delle esistenze, dal boom delle casette rosa per impiegati degli anni 50, da nuove tendenze e ideologie che guardavano sempre più all’astratto e alla dispersione delle coscienze. Era difficile per loro ricollegarsi a quel mondo, così ne rintracciarono solo pezzetti e vaghe memorie. Quel disco, in sostanza, era come un puzzle a cui mancava il pezzo più importante, ma proprio per questo suona ancora oggi così affascinante.
Questo disco avrebbe lasciato un solco profondo, cambiando le carte in tavola alla scena rock, portando poco dopo la sua uscita a un movimento di revival della musica americana che, con aspetti più commerciali, avrebbe colto il successo di massa. Sarebbero nati gruppi come Crosby, Stills, Nash e Young e gli Eagles, che avrebbero conquistato nel decennio successivo gli stadi e le classifiche.
Loro invece non sarebbero sopravvissuti neanche dieci anni. Il successo ci fu, e anche la copertina dei più importanti magazine, ma la droga e l’alcol posero fine a un sogno e The Band si sarebbe sciolta dopo un leggendario concerto di addio nel 1976, immortalato da Martin Scorsese nel più bel film rock di sempre, “L’ultimo valzer”.
Ma allora, 50 anni fa, “Music From Big Pink” (che in realtà venne registrato a New York e non nella casetta rosa di Woodstock dove i cinque avevano vissuto insieme nell’estate del 67 suonando con Dylan) scosse chiunque lo avesse ascoltato: Eric Clapton decise di sciogliere i Cream un mese dopo averlo ascoltato. “Ecco un gruppo che stava incorporando influenze dalla musica country, blues, jazz e rock, e scrivendo grandi canzoni. Non potei fare a meno di paragonarli a noi, che eravamo stupidi e futili. Stavo cercando freneticamente un metro di misura, ed eccolo qui. Ascoltare quell’album, per quanto eccezionale, mi ha fatto sentire che eravamo bloccati e volevo uscirne” dirà Eric Clapton. Quel mese di luglio, dopo che Music From Big Pink fu pubblicato, annunciò che i Cream si sarebbero sciolti.
Richard Manuel si è impiccato nel 1986, distrutto dall’alcolismo e dalla depressione; Rick Danko è morto nel 1999, il suo grande cuore devastato dalle droghe; Levon Helm, che aveva cercato in tutti i modi di tenere vivo il nome di The Band, muore di tumore nel 2012. La casetta rosa dalle parti di Woodstock esiste ancora, ci abita qualcuno che la mantiene intatta come era 50 anni fa, ed è luogo di continui pellegrinaggi. Anche loro adesso, i ragazzi di The Band, fanno parte di quel mondo leggendario con cui cercarono di mettersi in contatto. Vivono per sempre, nei boschi intorno a Big Pink.
Il prossimo 31 agosto 2018, in occasione del 50esimo anniversario, Music From Big Pink sarà ripubblicato in varie nuove configurazioni con un nuovo missaggio e brani aggiunti: una Super Deluxe LTD Edition Vinyl Box + Booklet Rilegato (con note di David Fricke e foto di Elliott Landy) con CD/Blu-ray/2LP/7’’ singolo 45 giri, 1 CD, 2LP/45rpm 180g e Digitale. Per chi, naturalmente, non lo avesse ancora.