Il Flauto Magico è una delle opere più ambigue nel mozartiano oceano di ambiguità. Composta quasi simultaneamente a La Clemenza di Tito, “opera seria” di stampo addirittura metastasiano, Il Flauto è una commedia in musica allegorica, la cui paternità del libretto – per decenni attribuito all’impresario Shikanader – è rimessa da qualche tempo in discussione (si veda Edward Denn “Il teatro di Mozart”, Rusconi, 1981 pp. 328-340). Da un lato, è una commedia piena di lazzi e frizzi e volta a meravigliare anche per l’apparato scenico e i frequenti cambiamenti di ambiente che comporta. Dall’altro, è forse uno dei lavori di Mozart più denso di riferimenti e di messaggi massonici (si veda Lidia Bramani “Mozart massone e rivoluzionario”, Mondadori, 2005 pp.243-298).
Venne rappresentata in un teatro, il Theater auf der Wieden, “fuori porta” dedicato alla musica leggera ed ebbe un enorme successo di pubblico, ma non di critica, in quanto considerata una farsa (John Osborne “Tutte le opere di Mozart”, Sansoni 1982). A complicare le cose, prima di morire, Mozart scrisse sul manoscritto il sottotitolo “deutsche Oper”, quasi che con il lavoro volesse dar vita a nuovo genere: “l’opera tedesca”.
La nuova produzione, presentata al Festival di Salisburgo il 27 luglio, in scena sino al 30 agosto e che io ho visto e ascoltato alla terza replica il 5 agosto, risolve in modo originale gran parte di questi problemi. La regia è della giovane americana Lydia Steiner, la drammaturgia di KuIna Karr, le scene di Katharina Schlipf, i costumi di Ursula Kundra, le luci di Olaf Freese, i video di fettFil; in buca i Weiner Philharmoniker sono diretti da Constantinos Carydis.
Il concetto di fondo è che quando nel 1791 l’opera debuttò si era in un periodo di crisi: a due anni dall’inizio della Rivoluzione francese, l’impero degli Asburgo era attraversato da seri problemi politici ed economici che sarebbero sfociati nelle guerre napoleoniche. Quindi l’azione è situata attorno al 1912-13, mentre si odono già i rulli di tamburo della Prima guerra mondiale. I riferimenti alla massoneria e all’antico Egitto vengono eliminati e gran parte dei dialoghi che a essi si collegano tagliati. Sin dalla sinfonia siamo in una magione di inizio Novecento, dove un nonno (Klaus Maria Brandauer) racconta ai tre “fanciulli” (tre razzi del celebre Wiener Sängerkaben- sempre in scena e ottimi anche come attori) la vicenda che nella loro immaginazione si trasforma in una favola dei fratelli Grimm, affollata da mostri e personaggi circensi.
L’impianto (la favola narrata dal nonno) resta, ma dall’arrivo di Sarastro, quasi al termine della prima parte, l’intreccio si interseca con le vicende storiche. Sarastro è un industriale (manifattura pensate) e illuminato (nella fabbrica ci sono pannelli ispirati alla cartoline di propaganda socialista dell’epoca) e le “prove” di Tamino e Pamina (soprattutto fuoco e acqua) avvengono mentre vengono proiettate immagini della Prima guerra mondiale e attinenti dimostrazioni di piazza. Una vera “opera tedesca”.
Al termine, ci sono state alcune dimostrazioni di dissenso nei confronti di questa lettura, ma sono state travolte da applausi e ovazioni. Al vostro chroniqueur l’operazione è piaciuta perché ha risolto ambiguità del testo e accentuato l’umanità del lavoro. La sera del 5 agosto, all’inizio dello spettacolo, la Presidenza del Festival è venuta sul boccascena per dire che cinque ora prima dell’alzar del sipario Albina Shagimuratova (notissima interprete che avrebbe dovuto impersonare il difficile ruolo della “Regina della Notte”) era ammalata: sarebbe stata sostituita dalla venticinquenne Emma Posman del Young Singer Project che canta il ruolo in una versione ridotta per bambini de Il Flauto in scena nell’Aula Magna dell’Università. Alle prese con l’enorme sala grande del Festival, nonostante un volume un po’ piccolo, la giovane Posman ha affrontato benissimo le tre impervie, anzi micidiali, arie della Regina della Notte. Di grande livello tutti gli altri cantanti, specialmente Mauro Peter (Pamino), Christiane Karg (Pamina), Mathias Goerne (Sarastro) e Adam Plachetka (Papageno).
Caridis dirige i Weiner in stato di grazia; meravigliosi i fiati e il cembalo. Ottimo, come sempre, il coro della Staastoper di Vienna. Un quarto d’ora di ovazioni hanno travolto qualche “boo” dal loggione.