Per Platone, la musica è la più alta delle filosofie. A introduzione de “La Notte dell’Epifania”, William Shakespeare fa affermare a uno dei protagonisti: “Se la musica è cibo dell’amore, continua a suonare”. E quale amore è più forte di quello per l’Alto, e, quindi, per il proprio prossimo? Il 16 aprile 2007 al termine del concerto per il suo ottantesimo compleanno, papa Benedetto XVI ha detto: “Sono convinto che la musica sia il linguaggio universale della bellezza, capace di unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta la terra e di portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto e ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”.



Ce lo ricorda ogni autunno la Sagra Musicale Umbra giunta alla 73sima edizione, una manifestazione densa – 22 concerti in vari luoghi dell’Umbria dal 13 al 22 settembre – e ogni anno pensata accuratamente attorno a un tema. Nel 2018 guerra e pace. La Sagra è iniziata con una grande esecuzione della Missa in tempore belli di Haydn (orchestra da camera di Perugia, diretta da Gary Graden, e St. Jacobs Chamber Choir) e termina con l’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven (con l’orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Maxime Pascal, il coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e quattro solisti di rilievo internazionale), passando per il War Requiem di Britten (orchestra giovanile italiana e orchestra da camera di Perugia, dirette da Jonathan Webb, coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e tre solisti di grande fama). Merita un elogio il direttore artistico, Alberto Batisti, che con un budget risicato all’osso riesce a produrre uno dei festival a tema di maggior spessore in Europa.



Per una serie di ragioni, quest’anno non ho potuto essere in Umbria quando venivano eseguiti i concerti di maggior rilievo, come quelli menzionati. Ho colto però il senso di questa Sagra 2018 tramite tre concerti eseguiti rispettivamente nel Museo di San Francesco a Montefalco (il pomeriggio del 16 settembre), nella Chiesa templare di San Bevignate (la sera del 16 settembre) e nella Chiesa di San Filippo Neri a Perugia (la sera del 17 settembre).

Tutti e tre riguardano il tema della guerra e della pace. Il primo è un omaggio a Debussy nel centenario della morte: le tre sonate composte tra il 1915 e il 1917 e la breve ma intensa composizione pianistica Les soirs illuminés par l’ardeur du charbon (tutte composizioni in cui echeggia, da un lato, la prima guerra mondiale e da un altro la Parigi dei salotti borghesi) sono eseguite dal complesso Suoni Riflessi (Mario Ancillotti al flauto, Ekaterina Valiulina al violino, Yuval Gotlibovich alla viola, Erica Piccotti al violoncello, Matteo Fossi all’arpa) e , tra un brano e l’altro, Maddalena Crippa legge pagine dello stesso Debussy e di Proust. L’atmosfera è perfetta. Nell’ensemble spicca la giovane violoncellista.



A San Bevignate, la guerra e la pace risuonano in un contesto particolare: Sarajevo. Il tema palpita tramite canzoni tradizionali bosniache (Damir Imamovic al liuto e Ivana Duric al violino). È raro che musica bosniaca venga ascoltata in Italia. Ha un impianto simile a quello della musica arabo-turca, intrisa però di richiami alla musica ebreo-sefardita e alla musica greca. Ricorda, per i non specialisti, il fado portoghese.

Il 17 settembre, nella suggestiva Chiesa di San Filippo Neri, il tenore Mark Milhofer, il controtenore Antonio Giovannini, e il baritono Mauro Borgioni, con Jonathan Williams al corno e con Farinelli al pianoforte, hanno ricordato la guerra e la pace tramite tre cantiche di Benjamin Britten, due brani di Claude Debussy e di Francis Poulenc e due romanze di Samuel Barber e di MacMillan. In breve, una rassegna della vocalità del Novecento. E anche della poesia, dato che i testi – tranne uno di quelli di Britten (tratta da un Miracle Play del tardo Trecento) – sono firmati da autori come Edith Sitwell, James Joyce, T. S. Elliot, Guillaume Apollinaire, Louis Aragon, Charles d’Orléans e simili. In breve un concerto raffinatissimo in cui vengono mostrati, con eleganza, gli orrori delle due guerre mondiali (e di tutte le altre). Ottime sia le voci (eccelle su tutte quella di Milhofer, uno dei maggiori specialisti di Britten) sia gli strumentisti. In una piovosa serata di settembre, il concerto era affollato e il pubblico ha applaudito per dieci minuti gli interpreti i quali hanno ringraziato offrendo un loro adattamento per tre voci della elaborazione di Britten di un duetto di Purcell.