Mettere in scena le opere ‘imperiali’ di Gaspare Spontini (quali La vestale, Fernand Cortez, Olympie e Agnes von Hohenstaufen) è un intrapresa che poche fondazioni liriche affrontano a ragione degli alti costi di produzione (enorme organico orchestrale, doppio coro, corpo di ballo); in effetti, ricordo una produzione di Agnes von Hohenstaufen nel lontano 1986 al Teatro dell’Opera di Roma e Fernand Cortez è in programma per l’inaugurazione delle stagione 2019-2020 della Firenze Opera. Furono questi titoli composti per la Parigi imperiale e per la Berlino capitale del Regno di Prussia che hanno inciso in modo fondamentale sulla storia della musica aprendo la strada, in Francia, al grand opéra ed in Germania alla ‘rivoluzione wagneriana’. Sono proibitivi per il Festival Pergolesi Spontini che giunto alla diciottesima edizione realizza, con mezzi risicatissimi, ogni settembre un bel programma.



Oltre alla integrale di Pergolesi ed aa concerti con brani delle opere più importanti di Spontini, il Festival ci ha fatto conoscere titoli rari o scomparsi ed alcuni lavori giovanili come Li puntigli delle donne (saggio finale dei suoi studi al Conservatorio di Napoli). Nella prima edizione figuravano due deliziose operine francesi – Julie ou le pot de fleurs e Milton – che all’inizio dell’Ottocento hanno fatto conoscere il giovane Spontini nelle Parigi imperiale e gli hanno aperto i salotti più importanti. Sei anni fa, a Jesi è stata presentata la prima messa in scena in tempi moderni de La fuga in maschera , opera composta per il Teatro dei Fiorentini di Napoli, che , ritenuta perduta , è stata ritrovata in una sala d’aste di Londra.



Due anni fa, c’è stato l’eccezionale ritrovamento nella Biblioteca del Castello d’Ursel in Hingene (Belgio) di quattro manoscritti autografi di Gaspare Spontini, relativi a partiture credute scomparse. Si tratta di tre opere e di una cantata, il melodramma buffo Il quadro parlante del 1800, il dramma giocoso Il Geloso e l’audace del 1801 (Palermo), la farsa giocosa Le metamorfosi di Pasquale ossia Tutto è illusione nel mondo del 1802 (Venezia) e la cantata L’Eccelsa gara del 1806 (Parigi). Vi erano giunti da Maiolati Spontini (ridente cittadina nei pressi di Jesi), dove il compositore  nacque e morì, dopo un lungo percorso fatto di eredità, matrimoni e doti che richiederebbe un romanzo per essere raccontato. In co-produzione con il Teatro La Fenice , il Festival ha messo in scena Le metamorfosi di Pasquale ossia Tutto è illusione nel mondo il 20 ed il 22 settembre; è da augurarsi che venga ripresa in altri teatri. E’l’ultima opera italiana di Spontini prima che a 27 anni, andasse a cercare una migliore fortuna all’estero.



Fa conoscere infatti, uno Spontini differente sia da quello di La fuga in maschera (cugino dell’opera comica napoletana) sia da quello di Julie ou le pot de fleurs e Milton (già intriso del gusto francese). Composta per il Teatro San Moisé (dove pochi anni dopo trionfarono le farse del giovanissimo Gioacchino Rossini, pur seguendo minuziosamente i canoni della farsa giocosa veneziana (un solo atto, durata di un’ora e mezzo, pezzi chiusi spesso a più voci, recitativi accompagnati) echeggia lo stile mozartiano (de Le nozze di Figaro che in quegli anni circolava in Italia in versioni più o meno mutilate). Dirigeva l’Orchestra Sinfonica Rossini Giuseppe Montesano che sta facendo una brillante carriera a Vienna.

Lo spettacolo è gradevole. L’azione è spostata dall’inizio dell’Ottocento ai primi anni del Novecento, nella Napoli dei café chantant e delle sciantose. L’azione, molto spedita, riguarda una burla ad un poveraccio atta a facilitare due matrimoni – uno borghese ed uno aristocratico. Spigliata la regia (Bepi Morassi e Laura Pigozzo). Attraenti ed efficaci le scene ed i costumi rispettivamente di Piero De Francesco e Elena Utenti (approntati dalla Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia).

Un cast giovane e ben avvezzo alla recitazione. Specialmente buono il gruppo maschile, guidato da Baurzhan Anderzhanov (as Pasquale) e con  Carlo Feola, Daniele Adriani, Antonio Gares e Davide Bertolucci. Dei due soprano, Michela Antenucci ha cantato bene nonostante fosse indisposta . Carolina Lippo ha affrontato l’impervio ruolo di Lisetta, quasi sempre in scena e con difficili arie di coloratura. Lo ha svolto ragionevolmente bene. Tutti molto applauditi.

L’operazione ha un indubbio interesse musicologico: ne verrà tratto un disco.  Difficile dire se come le farse di Rossini (dimenticate per decenni) tornerà nei repertori.