Vagabondo, contadino, autostoppista, busker, lavoratore a ore, meccanico, scaricatore: la storia di Steven Gene Wold è una di quelle che potrebbe aver ispirato Robert Aldrich nel suo L’imperatore del Nord, film epico sulla filosofia del vagabondaggio creativo. Wold ha fatto di tutto nella vita, dopo essere nato ad Oakland nel 1940 (ma anche sulla data di nascita esistono dubbi) e dopo aver frequentato la scena musicale californiana in anni di spensierata gioventù, ma mettere le radici non era nel suo destino.



Ad un certo punto, ha preso il nome d’arte di Seasick Steve (già, il nostro soffre di mal di mare….) ha viaggiato tra l’Europa e il Nord-Africa andando a vivere poi in Norvegia, terra di gente che si fa rigidamente i fatti suoi. E’ qui che Steve ha iniziato a suonare con continuità ed ha iniziato a incidere i suoi dischi più importanti, riuscendo finalmente a concretizzare il suo discorso rock-blues, e raggiungendo un successo considerevole a 70 anni, quando gli altri solitamente iniziano a mettere il talento in ghiacciaia. Alcuni suoi album – Man from Another Time (2009), You Can’t Teach an Old Dog New Tricks (2011), Sonic Soul Surfer (2015) – sono entrati nelle classifiche britanniche anche grazie al “padrinaggio” importante di John Paul Jones, bassista dei Led Zeppelin e musicista sempre in cerca di volti e voci fuori da coro.



Il nuovo lavoro di Seasick Steve, Can U Cook?, si inserisce in questa avventura umana ed artistica bizzarra e d’altri tempi, come un prodotto maturo e solido, ricco e ben suonato, lineare e coerente con il linguaggio personalissimo di questo autore che sta interpretando una delle più singolari avventure musicali del pianeta. Come d’abitudine l’album è quindi un mix di rock e folk-blues, che cita Hank Williams e gli ZZ Top, governato da slide torride (Hate da Winter), e impreziosito da versanti acustici che richiamano il blues della Chess records (Sun on my face e soprattutto Get my Drift), come se l’orologio della vita si fosse fermato ai gloriosi e duri anni ’50-’60. Chitarre sature (Can U Cook e Company) che sanno di garage-blues, bellissime ballad acustiche (Last Rodeo e Lay) in cui si anela al riposo rappacificante, alla fine della lotta quotidiana, mentre qua e la (Company ne è un esempio) emergono citazioni di metrica rap che occhieggiano furbescamente al sound che oggi occupa le alte classifiche.



Se nel passato recente le collaborazioni di John Paul Jones (Led Zeppelin) e Jack White avevano irrobustito e definito un suono già personale, ma forse ancora mancante di quadratura, questa volta è Luther Dickinson (chitarrista e leader dei North Mississippi Allstar, nonché figura di spicco del movimento nordamericano delle jamming band) a offrire il suo contributo prezioso. A metà strada tra Johnny Fogerty e Dickinson è infatti Down de Road, una swamp ballad che risente di questa nuova collaborazione, come anche Shady Tree, brano di forte impronta texana. 

Dal punto di vista produttivo, Can U Cook? è un disco che si inserisce perfettamente nel discorso sonoro che Steve sta portando avanti da oltre un decennio, con una linea chiara del proprio sound che affonda le radici nel Mississippi e spazia in un universo elettro-acustico prettamente folk-blues. Suoni grezzi e veraci, con una voce che spesso gioca con i filtri, in un rimando ironico verso se stesso ed il mondo, fanno di Seasick Steve un caso piuttosto particolare, che si sposa perfettamente con l’hobo-look del musicista. Celebre è la sua scelta di usare strumenti bizzarri, spesso costruiti da lui stesso nella scia delle cigar-box guitars: chitarre con tre o quattro corde, ricavate da oggetti di uso comune o da pezzi ritrovati nelle discariche e riciclati, a dimostrazione di una vita sviluppata tra gli espedienti, pur di trovare il modo di far musica anche in assoluta assenza di denari. 

A dimostrazione che è la forza della musica autentica, che in un qualche modo, vince e convince nella produzione bislacca di Seasick Steve, l’hobo che si è scoperto bluesman di successo a 70anni.