Dopo le feste di Natale e fine/inizio anno, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha ripreso la normale programmazione della stagione sinfonica con un concerto speciale. Avrebbe dovuto dirige Yuri Termikanov ed includere la Sinfonia n.104 di Haydn ‘London’ e la Quarta Sinfonia di Mahler ‘La Vita Celestiale’. Terminakov ha dovuto cancellare ed è stato chiamato Daniele Gatti, che dal 1992 al 1997 è stato direttore musicale dell’orchestra sinfonica dell’Accademia con cui ha, quindi, grande sintonia.
Gatti ha cambiato il programma, mantenendo la sinfonia di Mahler e sostituendo quella di Haydn con l’Idillio di Sigfrido di Richard Wagner, la composizione offerta in regalo dal compositore a sua moglie Cosima nel Natale 1870, dopo la nascita del loro primo figlio maschio, Siegfried, e suonata per la prima volta, con un organico ridotto sulla scalinata della villa a Tribschen (sul lago di Lucerna in Svizzera) dove allora alloggiavano.
Il programma è stato reso più compatto, non solo a ragione della breve durata del primo dei due brani (che sono stati eseguiti senza intervallo ma con una breve pausa), ma soprattutto a ragione del fatto che ambedue trattano di momenti sereni in un contesto di campagna. Si sarebbe potuto intitolarlo ‘di Tribshen a Laxenburg’ , una ridente piccola città a venti chilometri a Sud di Vienna (dove ora hanno sede l’Accademia Internazionale per la Lotta alla Corruzione e l’Istituto Internazionale di Analisi dei Sistemi Applicata). Nei due brani, pur con qualche passaggio drammatico, si respira la gioia serena (raramente presente nella vita e nella musica dei due compositori). Un accostamento perfetto, anche se raramente fatto.
L’Idillio è generalmente classificato come ‘poema sinfonico’. Credo sia più opportuno chiamarlo ‘capriccio’ data la forma libera, al di fuori di ogni schema, e l’intrecciarsi, come in un ricamo di vari temi, numerosi provenienti dalla tetralogia nibelungica (che Wagner stava componendo), principalmente dal Siegfried, così intriso di amore per la natura e di descrizioni di boschi e foreste. Il brano riflette anche i travagliati rapporti tra Wagner, Cosima Liszt, ed il suo primo marito(e direttore d’orchestra preferito da Wagner) Hans von Bülow; quindi, ci sono momenti anche drammatici. Gatti, che ha diretto a memoria, ha sottolineato questi momenti (giustapponendoli al delicato ricamo descrittivo) , dilatando i tempi: l’esecuzione è durata cinque minuti più dei canonici venti minuti della prassi. Ha anche utilizzato un complesso sinfonico (come si fa di sovente), non cameristico.
Dopo una brevissima pausa , si è passati alla “Quarta” di Mahler che dura circa un‘ora e la cui prima esecuzione è avvenuta a Monaco nel 1901. Dopo la enorme panteistica ‘Terza’ è prima della tragica ‘Quinta’ , aperta da un’agghiacciante ‘marcia funebre’, la ‘Quarta’è un nesso di evoluzione non solo musicale ma anche spirituale.
La “Quarta” è stata composta tra il 1898 ed 1900 , quasi a ridosso della clamorosa conversione in pompa magna di Mahler, ebreo non credente, al cattolicesimo – una conversione ritenuta opportunista, fatta al solo fine di diventare direttore dell’Opera di Vienna ma che comunque comportava la frequentazione delle cerimonie religiose e anche i sacramenti.
La “Quarta” segue di pochi anni “Terza”. Concettualmente, però, sono molti distanti. Grandiosa la prima (di una durata che, in mano a certe bacchette, sfiora le due ore), con notevoli interventi corali e vocali per sottolineare il risveglio di una natura verosimilmente boema se non da foresta nera. Delicata la “Quarta”, in cui Mahler torna ai canonici quattro tempi sinfonici quali definiti da Haydn. Primaverile e piena della dolcezza dei boschi che circondano Vienna, proprio come quello di Laxenburg. Nella delicatezza cela quasi il dramma del rapporto di Mahler con quella che era allora la capitale della duplice corona austro-ungarica. In breve , è quella che potrebbe sembrare la meno spettacolare delle sinfonie di Mahler: un organico ridotto, senza tromboni o basso tuba, l’intervento della voce (ma solo un soprano) per introdurre la “Vita Celestiale”. Nel primo movimento, si avvertono echi della linea melodica della sinfonia ‘Jupiter’ di Mozart. Il secondo e il terzo movimento proseguono con accurata eleganza. Poi uno stacco e la “Vita Celeste”, con Rachel Harnish perfetta nell’emissione e con un volume buono anche in una sala di circa 2000 posti. In breve una prova di grazia dalla Harnisch e di raffinatezza di Gatti . Cosa di meglio per rievocare Vienna in una fine di primavera? In clima idilliaco, la “Vita Celeste” induce a pensare che la spettacolare conversione e la frequentazione domenicale delle maggiori Chiese non fossero unicamente un gesto opportunista.
Anche in questo caso, Gatti ha diretto a memoria, senza spartito, e dilatando i tempi; nel complesso, la sinfonia è durata circa dieci minuti della registrazione di un’esecuzione di Pierre Boulez, ascoltata prima del concerto. Ha, poi, enfatizzato la drammaticità del terzo tempo, in cui, pur in un contesto, di serenità agreste, viene evocata anche la morte.
Grande successo.