Una stanza, non si sa quanto grande ma spaziosa quanto basta da regalare il colpo d’occhio di una sterminata sala di registrazione.  Il nostro musicista entra e si piazza sulla postazione centrale, seduto alla sua sinistra Anthony Phillips, ispirazione dichiarata per struttura musicale e arrangiamenti di base.  Potrebbe essere tutto qui, lui, Phillips e Orwell, un Orwell ipoteticamente partorito all’inizio di questo millennio.  Ma ecco che in maniera del tutto inaspettata (o forse no) si palesa in sala Tony Banks che va a sedersi alla sua destra.



E orwellianamente si dipana la storia più unica che rara di questa insolita complicità musical-letteraria.  Si parla di suonare un po’ tutti insieme e dividersi equamente le consegne, ma Banks fulmina le velleità degli altri ammonendo “sono io il tastierista”.  Il nostro protagonista sorride e incontra lo sguardo prima di Anthony, poi dello stesso Tony.  Il primo partecipe ma serafico, il secondo – deciso, profondo ma non irrazionale – accenna anche lui a un sorriso e decide per un parziale marcia indietro rispetto ai suoi inflessibili propositi.  Forse si può fare, e allora perché no?  In questo tempo di evidenze sfuggenti e che sfugge a ogni evidenza preconfezionata, muoversi in maniera differente e più aperta rispetto alle certezze di un tempo, sembra la strada più sensata sulla quale mettersi in cammino.



E allora ecco che in questo futuro di utopie indesiderate, si affaccia un’altra possibilità.  Un tempo ognuno avrebbe fatto in gran parte da sé con pochi altri selezionati e complementari, troppe grandi teste non avrebbero mai potuto sedersi allo stesso tavolo di lavoro. In questo temuto futuro ipotetico ecco che invece un’utopia positiva si affaccia.  Insieme in maniera prima impensata e con un nuovo senso di immedesimazione. 

La preziosa segnalazione periodica dell’ottima Synpress di Donato Zoppo ci porta dalle parti di Francesco Gazzara, musicista romano, pianista e tastierista legato in maniera versatile a doppio filo al mondo Genesis e a quello jazz.  Sotto il monicker The Piano Room ci fa entrare in un variegato racconto in note che riedita l’esperienza concettuale di 1984 in un nuovo futuro distopico, quello del 2084, quello dove la profezia di Orwell potrebbe salutare uno scenario persino peggiore di quello di un tempo, un’era dove tutto è social perché innanzitutto la persona ha accettato di concepirsi come animale social, o quello di una inaspettata nuova insurrezione.  Dalle ceneri delle antiche certezze a un nuovo modo di rendere vivibile il presente, anche quello musicale-artistico.



Ecco che allora in questo misterioso studio di registrazione ai tre protagonisti se ne affiancano altri, scopriamo che ai Phillips e ai Banks che rivivono questo tempo immemorabile e immaginario nei loro trent’anni, si affiancano curiosi e appassionati i Metheny e i Mays anche loro più o meno trentenni.   Peter Gabriel e Mike Oldfield passano a salutare e si trattengono qualche minuto in più di quanto annunciato, c’è anche la grazia e la passione di Nicole Atkins e Esperanza Spalding che seguono stupite e appuntano ogni singolo momento con silenziosa devozione.  Una complicità di intenti e di vite tutte intorno ai trent’anni o giù di lì.

 

2084” (in uscita il prossimo primo febbraio) è questa storia dove l’angoscia non riesce a liberarsi definitivamente di una speranza afferrata quasi con la coda dell’occhio, ma curata come eredità preziosa da inseguire e riguadagnare giorno per giorno.  Il disco rende conto di queste vicissitudini, tra piccole folate, capovolgimenti di fronte ed estro personale.  Di Phillps – primissimo chitarrista dei Genesis – e Banks entra la strumentazione di ieri, oggi e di un domani sognato.  I sintetizzatori analogici, il pianoforte elettroacustico e l’accurato scandire del programming.  Passa soprattutto l’immedesimazione nei rispettivi immaginari.  Quello profondo e dai timbri acuti e sottili di Phillips e quello movimentato, denso di contrasti e chiaroscuri di Banks.  La struttura cardine e le trovate elettroniche da colonna sonora sono quelle dell’uno (la stessa divisione nei quattro titoli è quasi fedele), l’estro e l’incomparabile intuito arrangiativo e di scrittura sono quelli dell’altro, le inedite dipartite verso lidi confinanti con il jazz e commistioni folk quelli di Gazzara.  Una bella immersione piena di musicalità, tra momenti riflessivi e impalpabili e dosate incursioni grandiosamente rock con tanto di gusto e talento nel calibrarne magistralmente le transizioni.  Finita la parte propriamente detta, gran parte del disco viene riproposto per solo piano a coda.  In definitiva un ascolto godibilissimo e a tratti avvincente, per un’opera che fa vivere di nuova luce e prospettiva un certo e personalissimo modo di sposare la dimensione della musica come sfida e scavalcamento dei confini.

L’album fisico è già in vendita sul sito ufficiale prima della release digitale IRMA dell’8 febbraio sul sito thepianoroom.it