C’è un cielo plumbeo, tipicamente londinese e invernale, quella mattina del 30 gennaio 1969. Sul tetto di un palazzo in Saville Row, dove c’è la sede della Apple, l’azienda che cura tutti gli affari dei Beatles, c’è grande attività: tecnici, cameramen, addetti vari. Stanno montando un vero e proprio set da concerto e da riprese cinematografiche. Che succede? Dal luglio 1966 i Beatles hanno smesso di suonare dal vivo. Era diventato impossibile. Le urla delle decine di migliaia di fan coprivano letteralmente i suoni anche perché ai tempi non esistevano impianti audio come quelli di oggi, e il suono era ridicolmente basso. Il caos a quei concerti era tale che i Beatles a volte si divertivano a suonare canzoni come la sigla di Braccio di ferro, come successe una volta, tanto il pubblico non se ne accorgeva neanche, a loro bastava poter vedere i Fab Four in carne e ossa. Così decisero di dedicarsi solo al lavoro in studio, cosa che permise loro di realizzare i massimi capolavori della loro carriera, ad esempio l’album Set. Pepper. Ma suonare dal vivo ha un significato particolare: è là che si cementa l’amicizia, la capacità di suonare veramente, di avere e ricevere stimoli, insomma di tenersi musicalmente in forma. In quel gennaio 1969 i Beatles erano ormai alle loro ultime battute. Anche se stavano incidendo uno dei loro dischi migliori, Abbey Road, provenivano da un periodo di frustrante litigiosità, ben raccontata nei filmati per le registrazioni di quello che sarebbe diventato il loro ultimo disco a uscire, Let it be. Era evidente a tutti che la carica si era esaurita. Non erano più ragazzini: erano sposati, avevano figli, ognuno di loro seguiva interessi suoi particolari. Le leggende del rock raccontano che fu l’arrivo di Yoko Ono, nuova compagna di Lennon che non si staccava mai da lui, seguendolo in studio come una sorta di silente ammonitrice, a dividere i quattro. Per quanto fosse fastidiosa, non fu certo lei la causa. A tutto questo si aggiunsero problematiche finanziarie enormi, i quattro erano una autentica azienda di affari e c’era chi imbrogliava tra gli avvocati e i manager. Il sogno romantico e avventuroso cominciato circa dieci anni prima si stava trasformando in una guerra finanziaria. Fu così che Paul McCartney, l’unico che ci teneva ancora che i Beatles continuassero, pensò che tornare a suonare dal vivo avrebbe dato una scarica di entusiasmo positivo.



THE CONCERT ON THE ROOF

Ma dove farlo? La notizia di un concerto dei Beatles avrebbe letteralmente scatenato milioni di persone. C’era un solo posto che permetteva la lontananza adeguata dalla pazzia della gente, e quel posto fu individuato sul tetto del palazzo della Apple. Ricorda Ringo Starr: “C’era l’idea di suonare dal vivo in qualche posto. Ci stavamo domandando dove saremmo potuti andare — magari il Palladium o il deserto del Sahara. Ma avremmo dovuto portarci dietro tutta la roba, così decidemmo: “Saliamo sul tetto!”. Il concerto fu deciso solo il 26 gennaio, quattro giorni prima. George Harrison portò il tastierista Billy Preston per dare maggiore forza al sound, in fondo erano quattro anni che non suonavano dal vivo. A mezzogiorno i passanti per Saville Row e chi lavorava negli uffici accanto o abitava in quella strada sentono delle note provenire non si sa da dove. Erano le note di Get Back. In tutto i Beatles eseguirono 13 brani tra cui diverse prove di Get Back, brani di Abbey Road che stavano ancora incidendo (quelli di Let it be che sarebbe uscito un anno dopo erano già stati incisi) come I want you, pezzi su cui stavano lavorando come One after 909, nessun classico dei vecchi tempi. Faceva un freddo cane, Lennon si lamentava che gli si gelavano le mani. Una troupe riprendeva tutto. Durante una pausa improvvisarono God save the queen, l’inno inglese. Le immagini mostrano i quattro amici completamente a loro agio in quei momenti, la gioia di fare musica apparentemente ritrovata. La prima esecuzione di I’ve Got a Feeling, e le registrazioni di One After 909, e Dig a Pony furono poi inserite nell’album Let It Be. Intanto per strada arrivavano sempre più persone, tutte con il naso all’insù. Dai balconi e dalle finestre dei palazzi accanto la gente si affacciava e sbracciava, entusiasta. Qualcuno cercò anche di passare di tetto in tetto per arrivare fino a loro. Ma ovviamente arrivò anche la polizia. Non era stato chiesto alcun permesso, le strade di Londra si stavano ingolfando di gente che correva verso Saville Row. Nel filmato dell’evento si vedono i poliziotti salire sul tetto e fermare tutto. Quando le ultime note di una nuova versione di Get Back vengono bloccate, non finisce solo il concerto sul tetto, finiscono gli anni 60. Sarà l’ultimo concerto dei Beatles e sarà la fine di una epopea storica che aveva cambiato il mondo, nell’utopia di pace e amore. Restava invece una lite finanziaria e una amicizia distrutta in mezzo agli avvocati. I Beatles non si sarebbero mai più riuniti, non avrebbero mai più suonato insieme, gli anni 60 erano finiti e come avrebbe detto John Lennon, “the dream is over”, il sogno è finito.



Fu un evento passato alla storia, anche se in realtà il primo concerto sul tetto di un edificio lo avevano già fatto un anno prima gli americani Jefferson Airplane a New York. Nel 1987 gli U2 ripeterono l’esperimento suonando sulla tetto di un edificio di Los Angeles davanti a migliaia di fan che bloccarono l’intero quartiere. Anche loro furono fermati dalla polizia. Ma nulla potrà mai cancellare dall’immaginario collettivo quella mattina del 30 gennaio 1969 in Saville Row, il giorno in cui “il sogno finì”.

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