C’è un bellissimo film dei primi anni 90, intitolato Swing Kids-Ragazzi ribelli, che racconta le vicende di un gruppo di giovani nel periodo della scalata al potere del nazismo nella Germania del primo dopoguerra. Non ancora un regime, il nazismo si era già organizzato secondo i valori base di “prima la Germania” con apposite squadracce di picchiatori che, tra le altre cose, impedivano la diffusione di tutto ciò che fosse straniero, anche la musica. Ma anche in “quella Germania” le nuove musiche provenienti dall’America, lo swing e il jazz, avevano fatto innamorare la generazione dei ventenni, che in queste trovavano uno spazio di libertà e divertimento. Per ascoltarne i dischi, dovevano comprarli al mercato nero e chiudersi in casa perché era proibito; per ballare, dovevano nascondersi in locali chiusi dove immancabilmente facevano irruzione le squadracce della Gioventù hitleriana che picchiavano e arrestavano. Il film si conclude con l’ultimo di questo gruppo rimasto fedele alla musica mentre gli altri sono tutti entrati nella Gioventù Hitleriano: un suo vecchio compagno di balli lo arresta, ma mentre i due si scontrano, il primo gli ricorda la bellezza e la libertà di quando l’amico non era ancora diventato nazista. Thomas, l’amico nazista, capisce, ricorda i tempi della libertà e mentre l’altro viene trascinato ai lavori forzati, lo saluta con il gesto nazista ma invece del tradizionale saluto hitleriano, “Sieg Heil!” gli grida “Swing Heil!”. E’ una bellissima immagine della libertà che solo la musica sa dare. Quello che fecero i nazisti, ma anche i russi nel periodo sovietico che impedivano di ascoltare i Beatles minacciando la galera o Mussolini durante la sua dittatura che vietò anche lui jazz e swing, si chiama autarchia. E’ curioso come l’estremismo come sempre finisca per toccare gli opposti vertici: i progressisti illuminati di Sanremo hanno appena fatto un festival autarchico e sovranista, all’insegna di “prima la musica italiana”. Il leghista Alessandro Morelli, ex direttore di Radio Padania, ha preparato un progetto di legge in cui dare un terzo dei palinsesti radiofonici esclusivamente alla musica italiana, una canzone su tre.



RADIO ITALIA SOLO MUSICA ITALIANA

Il tutto con una dichiarazione che fa capire che non ha capito niente della musica in Italia, ma di come “stia giocando sporco” perché ciò che lo interessa è “prima gli italiani” a scopo ideologico: “La vittoria di Mahmood all’Ariston dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica”, dice all’AdnKronos: “Io preferisco aiutare gli artisti e i produttori del nostro Paese attraverso gli strumenti che ho come parlamentare”. Un po’ come preferisco aiutare gli italiani disagiati degli stranieri”. Mahmood, ha spiegato lui stesso è italiano al 100%, nato in Italia, e non sa manco mezza parola di arabo. “Le emittenti radiofoniche, nazionali e private debbono riservare almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione” aggiunge. Dice una sola cosa intelligente, riservare almeno il 10% della programmazione alle produzioni di artisti emergenti, che normalmente sono censurati dalle radio. Le radio italiane infatti, come disse il massimo esponente della massima radio del nostro paese (“Se potessi mettere la musica che mi piace non passerei questa roba che sono obbligato a passare”) funzionano con le case discografiche che pagano un tot per una programmazione pilotata degli stessi dischi dei grandi nomi che hanno un nuovo album in rotazione. Non esiste più il dj che metteva il disco sulla consolle, ma macchinari con musica digitale preparati in precedenza per passare quello che viene deciso dalla direzione e non dal dj. E sono quasi tutti artisti italiani. In Italia poi una delle radio più ascoltate e potenti si chiama Radio Italia solo musica italiana e altre due dello stesso tenore sono Radio Margherita e Radio KissKiss Italia. Ma oltre a queste grandi radio che monopolizzano la scena, ci sono grazie a Dio ancora tantissime piccole radio che fanno la loro programmazione preferita e libera. Verrebbero stroncate. In Francia, un paese che con le sue rivoluzioni che hanno portato tutto tranne che la libertà ed è più nazionalista dell’Italia, dal 1994 esiste una legge che obbliga a trasmettere musica francese per una quota pari al 40% della programmazione giornaliera.  Si tratta, in un momento in cui l’Europa costruisce muri contro il diverso e lo straniero, di costruire muri anche nella musica. Al Bano si è già lanciato a braccia aperte nel progetto di legge leghista: “ “Ha fatto bene, solo musica italiana, e la canzone di Mahmood è molto carina, anche se va tutelata maggiormente la matrice italiana che è quella melodica”. Ma Mahmood è italiano e Al Bano il suo più grande successo lo ottiene in Russia, non in Italia. La musica, sia nel caso dei grandi network che passano solo quello che viene loro comandato, sia nella proposta di Morelli, non può essere regolata né dai monopoli né dallo stato. E’ sempre stata e sempre sarà, come ai tempi dei ragazzi tedeschi, espressione di libertà. E’ come se nei grandi musei un terzo delle opere esposte fossero esclusivamente di Caravaggio o Leonardo da Vinci. Non si regola con i decreti legge la forma di espressione. Anzi, che questo dibattito sia occasione per mettere alla luce i meccanismi perversi delle grandi radio che passano quello che viene ordinato loro dal potere discografico. Ma “la radio è libera, libera veramente” dei bei tempi andati crediamo sia finita per sempre, a prescindere dal decreto leghista. Più che la nazionalità di un cantante, le radio dovrebbero guardare alla qualità della sua musica, ma questo non lo si fa più da decenni.

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