Anna Bolena di Gaetano Donizetti è la seconda nuova produzione della stagione lirica 2018-2019 del Teatro dell’Opera di Roma: ha debuttato il 20 febbraio. La prima nuova produzione è stata Rigoletto che ha inaugurato la stagione il 2 dicembre, un’inaugurazione di cui è stata molto apprezzata la parte musicale e vocale ma la cui regia ed allestimento scenico hanno suscitato contrasti. Anna Bolena è, invece, stata un vero trionfo, sancito da applausi a scena aperta e da vere e proprie ovazioni dopo quattro ore di spettacolo – due lunghi atti interrotti da venti minuti di intervallo. E’ opera poco vista ed ascoltata, a ragione principalmente di trovare un cast all’altezza: al Teatro dell’Opera è stata presentata solamente nel 1977 e nel 1979 con un allestimento molto tradizionale (regia di Filippo Crivelli, scene di Nicola Benois). E’ una delle più difficili e meno rappresentate tra le numerose opere di Donizetti, a ragione delle difficoltà vocali; circa due anni fa un nuovo allestimento al Teatro alla Scala fu un mezzo insuccesso.
E’ la prima opera della donizettiana “trilogia Tudor”, un vero e proprio unicum nella fertile produzione del compositore (74 opere tra compiute ed incompiute). Escludiamo dal computo della ‘trilogia’ “Elisabetta al Castello di Kenilworth” del 1829 in quanto, pur classificato come “melodramma serio”, è un lavoro semi-serio con lieto fine, segue tutte le convenzioni del genere e, nonostante una buona registrazione di alcuni anni fa, non ha mai avuto una vera e propria “renaissance” in tempi moderni; ha avuto un certo successo l’autunno scorso al festival donizettiano di Bergamo.
Anna Bolena, Maria Stuarda e Roberto Devereux (composte tra il 1830 ed il 1837) hanno un filo conduttore comune: tragedie, più che drammi, tutte al femminile, imperniate non tanto sugli intrighi di potere tra i Tudor e i “cugini” Stuart per il controllo del più grande impero del mondo, ma sulla passione delle tre protagoniste per un uomo: tre amori impossibili in cui eros è contrastato da ragion di Stato. Sparita dai palcoscenici nella seconda metà dell’Ottocento, la “trilogia” ha trovato nuovi consensi da quando, verso la fine degli Anni Sessanta del secolo scorso, Beverly Sills ne face uno dei cavalli di battaglia della New York City Opera. Nessuno sovrintendente italiano ha sino ad ora seguito l’esempio di Beverly Sills che, per una decina d’anni, le metteva in scena alla City Opera una opera dietro l’altra. Il Teatro dell’Opera di Roma ha presentato Maria Stuarda due anni fa ed intende produrre Roberto Devereux tra un paio di stagioni.
La trilogia delle regine inglesi inizia con Anna Bolena che ebbe il suo debutto a Milano al Teatro Carcano il 26 dicembre 1830, inaugurando la stagione di Carnevale. All’epoca, infatti, ma già fin dal Rinascimento, il Carnevale iniziava fin dal giorno seguente il Natale. Stavolta il librettista era il famosissimo, letterato, poeta e critico musicale genovese Felice Romani, che aveva fornito i testi, a partire dal 1813 (e lo farà fino al 1855) ai più famosi musicisti del tempo, come Mayr, Mercadante, Pacini, Morlacchi, Bellini e soprattutto Rossini, per un numero incalcolabile di melodrammi. Fu un grande successo, anche grazie proprio al Romani e alle sue grandi capacità di librettista e all’interpretazione del grande soprano Giuditta Pasta. Anche questa volta c’erano dietro alla trama del libretto due drammi in versi, uno di Carlo Pepoli (Enrico VIII) e l’altro di Ippolito Pindemonte (Anna Bolena). Entrambi i drammaturghi avevano attinto a piene mani dal dramma francese Henri VIII di Marie-Joseph Chénier, fratello di quell’Andrea Chénier che diventerà inconsapevolmente protagonista di un altro dramma lirico che avrà grandissimo successo, nel 1896 per la musica di Umberto Giordano e dei librettisti Illica e Giacosa.
Nonostante il successo iniziale, l’opera usci a poco a poco dal consueto repertorio dei teatri d’opera, fino a che Maria Callas non la riportò in auge alla Scala nel 1957 e da allora laBolena ricominciò ad essere ospitata in tutti i maggiori teatri d’opera del mondo ma spesso in edizioni tagliate e con cast inadeguati. Una buona edizione integrale è stata presentata a Verona nel 2007. Della interpretazione della Callas esiste un CD, non di grande qualità e con circa tre quarti d’ora di tagli.
Chi non conosce la meravigliosa romanza Al dolce guidami castel natio? Anna poco prima dell’esecuzione ricorda i giorni felici della sua prima giovinezza, quando amava, riamata, Lord Percy, prima che il re d’Inghilterra venisse con la sua prepotente passione a sconvolgere il suo destino, facendola sedere sul trono di regina, per poi tradirla e metterla da parte accusandola di adulterio. Ma ad interrompere il sognante ricordo di quella perduta felicità, giungono lo sdegno e la collera dell’ultimo momento per il tradimento subito, con la cabaletta “coppia iniqua” nella quale Anna maledice Enrico e la Seymour, appena prima di avviarsi verso a morte, un finale altamente drammatico nel quale Anna esce di scena con tutto l’orgoglio di regina anche se a pochi passi oltre una porta l’attende il patibolo.
Nel 1830, debuttò con un cast stellare (oltre a Giuditta Pasta, Giovanni Battista Rubini). In Anna Bolena il virtuosismo vocale (specialmente nelle arie, duetti, rondò delle due protagoniste) domina su una scrittura orchestrale a servizio della voce. Impervia la parte scritta per Anna, a ragione sia della quasi continua presenza in scena sia dal registro molto ampio da tonalità super-acute a tonalità molto gravi. Richiede un soprano anfibio o ‘falcon’. Maria Callas ne accentuava le tonalità gravi, per scolpire una personalità altamente drammatica; Monserrat Caballé, altra interprete del ruolo, puntava, invece, sugli acuti e presentava una Bolena quasi fragile. Mariella Devia, che ha coraggiosamente debuttato nel ruolo al Teatro Filarmonico di Verona nel 2007 a circa 60 anni, segue più la seconda che la prima impostazione. Nella produzione romana, coprodotta con il Teatro Nazionale di Opera e Balletto della Lituania, Maria Agresta, pur non raggiungendo le tonalità gravi della Callas, da un taglio decisamente drammatico ad una parte impervia con acuti spericolati. Accanto a lei è Carmela Remigio, una Giovanna Seymour, sensuale. I duetti tra le protagoniste sono il nodo musicale dell’opera, un vero e proprio cesello di virtuosismo vocale. Ambedue debuttavano nei rispettivi ruoli; il pubblico è andato in visibilio.
Accanto a loro il lussurioso Enrico VII di Alex Esposito, in grande spolvero, René Barbera in quello di Percy, con acuti di classe (dopo qualche incertezza nel recitativo iniziale, Martina Belli nella parte di un dolcissimo Smeton ed il giovane Andrii Ganchuk (del progetto ‘Fabbrica’- la scuola del Teatro dell’Opera di Roma ) in quella di Lord Rochefort.
Riccardo Frizza concerta con vigore la sempre raffinata orchestra del Teatro dell’Opera; i violoncelli ed i contrabbassi hanno reso splendidamente i colori tragici della partitura. La buona regia di Andre De Rosa e la scenografia essenziale e funzionale (con praticabili astutamente situati per aiutare le voci) di Luigi Ferrigno ed i costumi (in cui domina il nero) di Ursula Patzak hanno fatto il resto.