E’ raro che su questa testata si tratti di due concerti nello stesso articolo. Questa volta mi prendo questa libertà perché si tratta di due eventi unici in istituzioni le cui attività sono di solito citate quasi solo sulla stampa locale. In aggiunta, si sono verificati un giorno dopo l’altro, il 9 ed il 10 marzo.



Cominciamo dal secondo. Un raro concerto di musica contemporanea di autori giovani, ma già affermanti all’estero in un’immensa Basilica barocca costruita in quelle che furono le Terme di Diocleziano. Un ambiente insolito, perché di solito i concerti di musica contemporanea si tengono in sale relativamente piccole e quasi allestite da IKEA. Unicamente il festival estivo di Salisburgo si concede di tenerli in una bella, ma non grande, chiesa barocca, ma è la cappella dell’Università.



Il concerto – tenuto in onore del Direttore dell’Accademia Tedesca, Dr. Joachim Blűher, il quale dopo 17 anni a Roma va a riposo- richiede uno spazio insolito. Nei due brani principali, di ‘borsisti’ dell’Accademia ma già noti in Germania – l’ucraina Anna Korsun ed il canadese Samy Moussa, per competere per accedere all’Accademia non occorre essere cittadini tedeschi, ma si deve esserne residenti per almeno cinque anni – gli ascoltatori sono seduti in un largo cerchio a cinque file, il podio è al centro del cerchio ed il coro e gli strumentisti avvolgono gli ascoltatori in più largo cerchio che circonda le poltrone, con grandi effetti stereofonici. Occorre ricordare che la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Santi ha un’acustica unica: nel 1983 vi si trasferì per alcune sere il Teatro dell’Opera per eseguire in forma di concerto il Parsifal di Wagner dato che un incendio aveva reso inagibile il palcoscenico.



Tra tre brevissimi brani di Giacinto Scelzi – le Tre Preghiere Latine (un Ave, un Pater ed un Alleluja per piccolo coro maschile, l’unica, credo, escursione di Scelzi nel gregoriano – si sono ascoltati i due pezzi principali.

Ulenfkucht di Anna Korsun può essere tradotto ‘il volo dei gufi’ per venti performers, essenzialmente i due ensemble vocali Evo Ensemble e Vox Nova Italia, diretti da Tonino Battisti. Quasi venti minuti di cinguettii in una raffinata scrittura atonale ma densa di fascino.

Più complesso Stasis di Sami Moussa, un brano filosofico e religioso di poco più di mezz’ora atemporale ed in uno spazio illimitato. Con elementi sia della musica tibetana sia dell’antico shofar ebraico, Moussa, che ha diretto il brano, evoca sonorità immense. L’organico richiede 8 corni francesi (imprestati dal Teatro Nazionale di Monaco), 17 gong e 2 tam tam dislocati nello spazio. Una grande esperienza sonora. Che ha meritato molti applausi.

Altra gradita sorpresa il giorno precedente all’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) dell’Università La Sapienza, la cui qualità ed accurata programmazione meritano maggiore attenzione di quanto ottengano sulla stampa cartacea nazionale. Il 9 marzo, l’artista programmato ha cancellato la propria scrittura quasi all’improvviso. Non solo il concerto non è saltato ma l’IUC si è assicurata nel giro di poche ore la collaborazione di uno dei maggiori pianisti su piazza: Alexander Lonquich. Ha suonato un proprio programma: un concerto a due facce, con una prima e una seconda parte diversissime tra loro, ma complementari. La prima parte, intitolata “Le affinità elettive”, accosta diciotto brevissimi brani di compositori molto lontani tra loro, che rivelano però somiglianze e parentele segrete: si va dal settecentesco Carl Philip Emanuel Bach al grande filosofo del ventesimo secolo Thedor Wisengrund Adorno, dal seriosissimo Anton Bruckner ad un innamorato della musica brasiliana come Darius Milhaud, dal romantico Robert Schumann all’ironico e graffiante Stravinskij di Circus Polka.

La seconda parte è invece interamente dedicata ad una delle più monumentali composizioni di tutta la letteratura pianistica, le trentatré Variazioni in do maggiore su un valzer di Diabelli op. 120, uno dei massimi capolavori di Ludwig van Beethoven, che negli anni della sua piena maturità artistica riuscì a ricavare sviluppi inimmaginabili da un banalissimo valzerino: un lavoro che lo impegnò per ben quattro anni, dal 1819 al 1823. Fu il compositore ed editore viennese Diabelli a chiedergli di comporre una singola variazione su questo valzer, da inserire in un’antologia comprendente brani di ben cinquantuno compositori, alcuni dei quali erano dilettanti. Beethoven rifiutò sdegnato, però quel tema gli rimase impresso nella mente e finì per comporre non una singola variazione ma un’intera serie.

Una prova di virtuosismo e bravura che ha entusiasmato il pubblico.