Quel diavoletto rotondetto che sovraintende e cura la programmazione artistica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ne ha pensata una bella (nell’ambito del programma a medio-lungo termine di abituare il pubblico a nuovi cartelloni): definire un concerto con brani del repertorio romantico molto noti agli ascoltatori ma affidarlo a Sir John Eliot Gardiner, noto in Italia soprattutto per le sue interpretazione della musica e del teatro barocco. Non che Sir John sfugga la musica romantica; la dirige frequentemente ed ha anche registrato per la Decca importanti CD pure di alcuni dei brani previsti nel programma del concerto in questione.



Ma in Italia è conosciuto principalmente come barocchista, pure per la recente trilogia monteverdiana che ha portato in giro in tutto il mondo e che nel nostro Paese ha fatto tappa a Venezia (dove è stata recensita sulle principali testate). Naturalmente, il diavoletto non dimentica il Sir John Eliot Gardiner barocco: l’8 maggio è in programma, fuori abbonamento, Semele, una delle opere più sensuali di Händel, in forma semiscenica, con Sir John sul podio, il Monteverdi Choir, e gli English Baroque Soloists, tra cui Carlo Vistoli, di recente applauditissimo al Teatro dell’Opera come protagonista dell’Orfeo e Euridice di Gluck.



Torniamo al concerto ascoltato alla terza replica quella del sabato pomeriggio (16 marzo) alle 18. L’Auditorium era molto affollato sia perché il romanticismo attira il pubblico romano sia per la curiosità di vedere Sir John interpretare Berlioz (di cui ricorrono 150 anni dalla morte) e Dvořák. Di Berlioz il programma prevedeva due brani: il notissimo Carnevale Romano ed il meno eseguito Harold en Italie, di Dvořák la sinfonia n. 7 in re minore op. 70. I due brani di Berlioz hanno aperto e chiuso il concerto.

Quale il nesso tra i tre brani, oltre alla comune matrice romantica? Tutti e tre sono molto descrittivi e hanno una forte valenza pittorica. Gardiner la ha accentuata sin da quando ha diretto la prima nota del Carnevale Romano (fortunatissima ouverture tratta dal secondo atto dell’opera Benvenuto Cellini, recensita più volte su questa testata). Dopo il vibrante attacco dell’Allegro assai con fuoco, Gardiner accentua le caratteristiche melodiche dell’Andante maestoso, facendo anche trapelare i ricordi nostalgici di quando Berlioz viveva a Roma in qualità di ‘borsista’ dell’Académie de France, a Villa Medici per andare, infine, nel ballabile (o quasi) dell’Allegro Vivace finale.



Ancora più pittorico il terzo brano Harold en Italie. Esempio di ‘musica a programma’ ispirata da un lungo poema narrativo scritto dal poeta inglese Lord Byron e pubblicato tra il 1812 ed 1818. Il poema descrive i viaggi e i pensieri di due personaggi che, disillusi da una vita di piaceri e ozi, cercano una nuova esistenza in terre straniere; complessivamente, può essere interpretato come l’espressione della malinconia e della disillusione vissuta da una generazione ormai esausta delle guerre dell’età successiva alla rivoluzione francese e l’età napoleonica.

Come ammise lo stesso Byron, il poema trae ispirazione dalle vicende autobiografiche dello stesso poeta, in particolare dai viaggi nel Mar Mediterraneo e nel Mar Egeo tra il 1809 ed il 1811. Berlioz sentì una forte affinità al poema: la malinconia che in quegli anni lo pervadeva e gli ispirava il piccolo capolavoro Lèlio ou le retour à la vie, di rara esecuzione (ne ricordo una produzione al Teatro dell’Opera nel lontano 2003). Per Harold en Italie, l’organico dell’orchestra diventa enorme e vi si aggiunge una viola solista.

Gardiner ne ha dato una lettura appassionata sottolineando i momenti di melanconia, di felicità e di gioia nelle passeggiate del protagonista in montagna, la serenità della processione dei pellegrini, l’allegria della serenata del montanaro, il tono festoso e le danze nell’orgia dei briganti. Antoine Tanestit alla viola ha dialogato con l’orchestra con vero virtuosismo, entusiasmando il pubblico. Orchestra e solista, quasi a rimarcare il colore pittorico dell’ambiente, hanno suonato in piedi il quarto e ultimo movimento.

Incorniciata trai due brani di Berlioz, la sinfonia n.7 in re minore op.70 di Antonin Dvořák forse la più brahmsiana tra le sinfonie, e quindi la più romantica, delle sinfonie del compositore boemo.

Nel primo movimento Allegro Maestoso, Gardiner sottolinea la maestosità introduttiva, dando preminenza ai violoncelli ed ai contrabassi. Nel Poco Adagio del secondo spicca la melodia struggente dei flauti e degli oboi. Lo Scherzo e nel Trio vengono intrecciati sapientemente i temi danzanti e quelli melodici. Nell’Allegro finale, trionfa il ritmo coniugato con il tempo di marcia.

In breve una grande serata romantica salutata da circa un quarto d’ora d’applausi.