C’era una volta la musica del diavolo. Quella fuoriuscita misteriosamente dalle corde di una chitarra, dopo un patto col maligno siglato all’incrocio tra la 49^ e la 61^ strada, una notte di tanti anni fa, in Mississippi. Oppure è tutto più semplice e maledettamente complicato, allo stesso tempo. La musica blues non è faccenda tra il demonio e Robert Johnson, ma canto e lamento del popolo nero, oppresso dall’americano bianco, scippato della sua cultura, lingua e radici, schiavizzato e linciato quando osa opporsi. Una nuova lingua ed un luogo nuovo, che, in forma musicale, sappia riversare una quotidianità sofferta e faticosa, che mal si amalgama a quella cultura stelle e strisce dentro la quale è stata gettata a forza.
Musica del diavolo, dunque, perché in grado di personificare e raccontare il male, quello che alimenta i crimini del padrone bianco, ma che in realtà annienta tutti e due, vittima e carnefice, nel suo schiacciare il bisogno elementare di pace, amore e libertà che alberga nel cuore di ogni uomo, indipendentemente dal ruolo sociale e dal colore della pelle. Oppure la musica blues, quella destinata a crescere, sino a generare un figlio dal nome rock’n’roll, ha dentro molto di più. Un cuore straziato che chiede aiuto, ancora quello del padre putativo Johnson, che a quel crocicchio canta la sua preghiera: “sono andato al crocevia, sono caduto in ginocchio / ho chiesto al Signore lassù: abbi pietà, risparmia il povero Bob” (Robert Johnson, Cross Road Blues).
E’ questa la strada che prova a percorrere Piero Chiappano, nel suo nuovo disco che è un canto d’amore alla musica con la quale aveva imparato a suonare la chitarra elettrica. Un crocevia anche per Piero, in fondo, quello punteggiato dalle note di Further On Up The Road di Eric Clapton, che gli impedivano, da ragazzo, di prender sonno, e quello dove era giunto di nuovo, più tardi, dopo aver attraversato deserti e paludi, nel mezzo del cammino della sua esistenza. Il blues, racconta Piero presentando il suo ultimo lavoro, è “una nostalgia”, ma quella “dolenzia” che esso evoca “non ha a che fare col maligno: è la memoria di una dimensione superiore in cui si cerca la pace, che è innanzitutto interiore”. E la pace interiore – aggiunge – “passa attraverso il rapporto con Dio”. Musica blues, dunque, da avvicinare al gospel ed al soul, ma in una “dimensione ancora in uno stadio di possibilità, di sondaggio”, nel “brivido di sfidare qualcosa a cui non si sa dare un nome”, ma non come “compiacimento nella difficoltà”, bensì di “tentativo di uscita”.
Tutte le canzoni del disco sembrano percorrere questo sentiero esistenziale. Un album – spiega ancora Chiappano – in cui “gli stili e i suoni del blues si incontrano con la figura di Gesù, le persone del Vangelo e gli episodi della sua vita”. Sorta di concept album, dunque, da ascoltare per ritrovare i personaggi della storia più famosa del mondo, ma anche figure che potrebbero assomigliare ai potenti di oggi. Erode e Pilato, ad esempio, sono due canzoni che narrano di una brama di potere ben conosciuta dall’uomo moderno: “Erode aveva l’anima travolta dall’invidia / e frequentava il circo della perfidia / così che più versava il sangue dentro il suo bicchiere / più si ubriacava di quel potere” (Erode), “Ti han messo qui politica e denari / ti piacerebbe amare la virtù / ma col potere si gode un po’ di più” (Pilato).
Ma anche Fuoco dalla bocca della verità, canzone che apre l’album e centrata su un unico ed ossessivo accordo, e Bandito, musicalmente più compiacente, specie nel suo ammiccare, tra tastiere e fiati, ad influenze latine, dipingono l’affresco di una società tutt’altro che rassicurante, abitata da un popolo qualunquista, pronto a scartare il diverso perché scomodo (“per ogni storpio che guarisci, è il buon senso che ferisci / tu pretendi d’insegnare, dietro il pizzo di un altare / ma sei solo un carpentiere, senza il senso del dovere” – Bandito) – e prossima al trovarsi di fronte a scenari da giudizio universale (“brucia il legno secco, niente resterà / solo il legno verde sopravviverà”).
E’ la rappresentazione del male, quello che rapisce l’anima dell’uomo e rende il blues il racconto di una dolorosa malattia del cuore. Ma quel cuore può essere sanato da una presenza, quella che si affaccia, luminosa, in altri brani dell’album, più larghi e melodici. Come nelle due ballate, Il discorso della montagna – in cui Chiappano fa coraggiosamente suo il celebre discorso di Gesù – e Come è nato Gesù – che confronta la nascita di Cristo con i momenti difficili che ogni uomo si trova ad attraversare. Affascinante, sia nel ritmo che nelle liriche, appare 12 Ragazzi, in cui sembra di toccare con mano l’emozione dei dodici apostoli, nei quali un orizzonte di novità è apparso inaspettatamente nell’esistenza: “dodici ragazzi camminano nel sole, dodici poeti in cerca di editore / gente che ha deciso di lasciare tutto, per un ideale che gli fa da specchio / loro che hanno messo l’anima in un fatto, Dio che è sceso in mezzo a noi”.
L’apice del disco, per chi scrive, è raggiunta in due brani. Il primo è la title track, che Chiappano descrive come il racconto di un “blues che viene fuori per difenderci da un mondo che non capiamo, dominato dal culto dell’appartenenza, del rifiuto e della rimozione di ciò che è scomodo”. E’ un canto accorato, in cui il protagonista manifesta tutta la sua fragilità – “scusami buon Gesù, vivo attraverso un dono / è che un cattivo tempo toglie speranza a un uomo / e il male che gira attorno prende alla testa e non lo lascia più”, cui sembra fare eco Getsemani, dolce ed intima canzone che chiude il disco, in cui quella stessa fragilità viene fatta propria dall’uomo-Dio e clarificata dal Suo sacrificio: “sulla terra bagnata dal mio freddo sudore, che si mescola al sangue di un lavacro d’amore / mi si para la vita col suo carico immenso, quella forza infinita che ora lacera dentro”.
Ed è proprio in questo brano finale che Chiappano sembra aver raggiunto il suo scopo. Il suo racconto del dramma vissuto da Gesù nell’orto degli ulivi appare come forma estrema di quel blues inteso come disperato desiderio di redenzione, respiro dell’anima che si esprime in musica nei ripetuti giri armonici e nell’armonica più aspirata che soffiata.
In fondo è ancora quella canzone di Robert Johnson, Cross Road Blues, che ha fatto da apripista e ritorna intatta col suo desiderio di mendicanza: “il sole sta calando, il buio mi sorprenderà qui”. Ma c’è una via d’uscita ed è quella raccontata nell’unico brano che si discosta dal resto del disco. A un passo dal cielo fotografa infatti un popolo in cammino che ritrova speranza e futuro: “a un passo dal cielo, all’ombra di Dio / facciamo la storia, allegri con brio / a un passo dal cielo, con l’aria di chi / affronta la vita, avanti così”. Le tastiere di Mario Natale si dispiegano sulle note finali, finché il blues si trasforma finalmente in una ballata di ampio respiro. Perché quella mendicanza, sembra suggerirci Chiappano col suo disco, adesso non è più un grido disperato. Ha trovato un Dio che ha risposto. E che le ha detto che non resterà disattesa.
E’ possibile ricevere l’album contattando direttamente l’autore a questo indirizzo: [email protected]