Il rock in Italia, negli anni 70, quando dominava la sinistra, quella definita extraparlamentare, non era visto bene per niente. Era “espressione del capitalismo yankee” si diceva e così capitava che un Fabio Treves (il noto e miglior armonicista blues italiano) che suonava il blues, cioè la musica degli emarginati e dei poveri, venisse cacciato dal palco dell’università Statale di Milano perché “filo americanista”. La confusione e l’ideologia erano tante. Chissà quanto, quei giovani di Lotta Continua e paraggi, si sarebbero divertiti invece che a sentire musica americana a raccogliere il riso nelle risaie di Mao Tze tung, allora loro idolo. Lo racconta anche Enrico Ruggeri in una intervista rilasciata a Vanity Fair in occasione dell’uscita del suo nuovo disco “Alma”. Erano tempi quelli, in cui David Bowie e Lou Reed erano definiti filo nazisti perché indossavano giubbotti e cappotti di pelle nera e tenevano i capelli cortissimi tinti di biondo: non c’era dubbio, con quel look non potevano che essere dei nazistoidi. Naturalmente di ascoltare i dischi e leggere i testi non se ne preoccupava nessuno, giusto per capire che non avevano niente a che fare con nostalgie nazistoidi.
ALLA SINISTRA NON PIACEVANO I GAY
“Io suonavo – dice ancora Enrico Ruggeri – e non mi interessavo di politica: già questo voleva dire essere di destra. Non ero niente e non ho mai votato. Però venni minacciato perché avevo i dischi di Bowie: quella sinistra così stalinista era super omofoba e quell’immaginario glam (musica espressione di tematiche gay, ndr) non era gradito”. Lui che cominciò nel 1978, faceva punk con i Decibel, genere musicale visto con sospetto anche quello: “Il musicista doveva essere il cantautore con la barba, scarno, brutto. Senza alcun senso dello show, che è poi il grande limite del cantautorato italiano: bei testi, musiche così così e spettacolo nullo”. Dice di aver pagato un prezzo per tutto questo: “La critica – aggiunge – non mi ha mai messo in Serie A: neanche in B, diciamo in A1”. Parla poi del grande uso di cocaina che si faceva a Milano negli anni 80, anche lui: “In quegli anni a Milano era difficile evitare la cocaina: tutti sniffavano, anche gli operai che mi ristrutturavano casa. Mi dà fastidio pensare che da qualche parte ci sia un coglione che mi vede in tv e dice agli amici, vedi Ruggeri, io con quello ho tirato di coca. La droga avvicina persone che non c’entrano niente tra loro. Tutto tempo perso”.