Il cantautorato d’autore al femminile offre in Italia perle di rara bellezza, ed il concerto di Patrizia Laquidara, la sera di mercoledì 18 aprile al Teatro Sala Fontana di Milano ne è prova convincente. L’artista di origine siciliana e di appartenenza veneta presenta il suo ultimo lavoro C’è qui qualcosa che ti riguarda, uscito verso la fine del 2018 per l’etichetta Believe. Ed in effetti la quasi totalità dei brani proposti appartiene proprio all’ultimo album, come pure la band che accompagna la cantante, composta da Daniele Santimone e Davide Repele alle chitarre, Stefano Dalla Porta al basso, Nelide Bandello alla batteria e Andrea Santini alle tastiere.
L’apertura è affidata ad Amanti di passaggio: l’atmosfera vagamente retro, venata di elettronica (à la Matia Bazar di Vacanze romane) insieme ad un vestito a balze e a delle sciarpe piumate ci porta in un contesto quasi belle epoque, ‘sporcato’ da una chitarra elettrica molto presente ma non invadente, arricchita di tremolo quasi da canyon. Le premesse sono ottime, anzi non sono neppure premesse, siamo già nel mezzo della narrazione. Con i piedi nudi Patrizia attiva e toglie effetti per la voce, già ricca e sfaccettata di suo, ma che acquista profondità. Si passa per Sopravvissuti e si arriva al delicato arpeggio che introduce uno dei brani preferiti per chi scrive, la preziosa Acciaio, giocata sul delicato equilibrio fra le solite piccole cose della quotidianità ed il rischio della noia. Si approda poi al blues lento e la vocalità stirata e sofferta di Preziosa per poi andare alla festa popolare di Nordestereofonico, dall’inciso però lento e sognante. Non una parola fra un pezzo e l’altro, invito ad entrare in un mondo non sempre totalmente comprensibile, ma affascinante. Grande presenza scenica unita a grande grazia nei movimenti che accompagnano le canzoni, e sguardo sempre dritto al pubblico, che finalmente viene interpellato per fare da sfondo ritmico al gioco di L’altra parte dell’altra. Con Pesci muti siamo trasportati ai Caraibi e a punti di alta poesia (Lascia che ti culli/l’onda del respirare), mentre una poesia recitata leggendo da un libretto appeso al vestito fa entrare in un altro registro espressivo della Laquidara: a breve uscirà anche un suo libro. La melodia si fa un filo più arzigogolata e leziosa ne La luna, dalle armonie avvolgenti e dolcemente complicate, mentre note lunghe ed effettate colorano la parola ‘mare’ protagonista insieme alla luna del titolo di questa fascinosa canzone. Passando per Bello Mondo-Ti ho vista ieri si arriva al funky di Le cose che succedono che ricorda nell’arrangiamento i tempi d’oro di Al Jarreau e dell’easy listening di grande qualità.
Patrizia Laquidara è bellissima ed in piena forma nonostante (da lei dichiarato) un po’ di raffreddore e riempie la scena danzando con leggiadria e con le sue acrobazie vocali, per nulla inficiate dal lieve malanno. Prima del finale, l’artista apre lo scrigno e racconta i due temi portanti dell’album e quindi del concerto: le zone di scarto di noi, dove mettiamo il dolore e le cose che non vogliamo, idea che sta dietro il concetto dell’album – dove pensiamo che tutto sia finito, lì si può ripartire. L’altro tema è invece il femminile, figure diverse di donna scandagliate nei testi delle canzoni e raccontate dalla musica.
E si va verso la conclusione: Rose, scritta da Fausto Mesolella (Avion Travel) e presente sul primo album Indirizzo portoghese (andatevelo a riascoltare!) è una maniera per proporre una canzone straordinaria e ricordarne l’autore, scomparso ormai qualche anno fa. Ufficialmente si chiude con Il cigno – The Great Woman, dedicata per l’appunto alle varie sfaccettature della figura femminile.
Il primo bis è una esecuzione a cappella di Tout dit, canzone dell’artista francese Camille che spesso la Laquidara esegue e che stasera forse assume la funzione (per la verità non dichiarata) di omaggio alla Francia ferita dall’incendio a Notre Dame. L’equilibrio è un miracolo tratta dall’album Funambola e Indirizzo portoghese chiudono in gloria una serata davvero di altissimo livello. Una artista Patrizia Laquidara che meriterebbe platee più ampie dei duecento spettatori presenti in sala, ma che forse perderebbe la magia di una espressività delicata e l’equilibrio fra poesia e musica, così fragile ed al tempo stesso potente.