«Incredibile. C’è stato un tempo in cui non esisteva l’opera. In Italia! Non c’era Va’ pensiero, e non Largo al factotum della città… Don Giovanni non seduceva mormorando Là ci darem la mano… non c’erano le notti di vigilia in fila alla biglietteria per un posto in loggione… Non le mezze luci in sala, il sipario ancora chiuso, silenzio, sta per arrivare il direttore, un istante e sarà buio e il sipario si aprirà su chissà quale meraviglia…».
Così ha inizio il viaggio di Lorenzo Arruga, nel suo ultimo libro “Il Teatro D’Opera Italiano. Una storia” (Feltrinelli), in cui il lettore è condotto per mano nella meravigliosa avventura che solitamente si fa iniziare con l’”Orfeo” di Monteverdi e terminare con la “Turandot” di Puccini. Il racconto però non si interrompe con la morte di Liù, ma continua fino ai giorni nostri e si apre a nuovi scenari.
La storia infatti non è ancora finita e l’autore continua a raccontarla nei suoi saggi, alla radio, dalle cattedre e dai giornali, recensendo le esecuzioni dei cantanti, le scenografie e la magia dell’Opera dai teatri e dai festival di tutta Italia.



Nel suo libro si avverte il legame profondo tra la storia del Teatro d’Opera e la sua vita. Come nacque questa passione?

La passione per l’Opera ha inizio nella mia vita dai racconti di famiglia, dai miti e i personaggi di cui sentivo raccontare le storie e i sentimenti. Dopo i primi ascolti alla radio mi portarono alla Scala per assistere alla “Lucia di Lammermoor” di Donizetti, con Maria Callas e la direzione di Herbert Von Karajan. Non si poteva immaginare esordio migliore.
Dopodiché venne la laurea in Lettere sul Teatro d’Opera, il perfezionamento su Donizetti e l’avventura della critica musicale. Da allora sono andato all’Opera continuamente.
La storia che ho voluto raccontare è appassionante e ci riguarda. In questo mondo le parole, le furie e le solitudini sono espresse con pienezza e non con tutte quelle “circonvallazioni di prudenza” che usiamo noi. Per questo motivo è sempre una gioia, ma anche una scuola.



A chi si rivolge questo libro?

A tutti, non chiede una preparazione preliminare. Ho cercato di parlare come se fossimo fra amici, alcuni esperti d’opera e altri no, provando a raccontare quanto è accaduto in questi 400 anni e chiedendomi quale fosse il motivo per cui siamo ancora pronti a emozionarci e anche a litigare per una rappresentazione.
Certo, è una storia difficile da sintetizzare, la Storia procede sempre per dissolvenze incrociate, figuriamoci quella dell’Opera che coinvolge letteratura, suoni e immagini. Merita però di essere raccontata.
 
Le andrebbe di raccontarci qualche episodio di questa avventura?



 

 

Certo. La storia inizia in un palazzo di Firenze, negli ultimi anni del ‘500, quando un gruppo di intellettuali, la Camerata de’ Bardi, inizia a ragionare e a discutere su ciò che stava per nascere, rifacendosi a modelli classici, a cui peraltro non potevano che riferirsi con una buona dose di fantasia e approssimazione.
In breve tempo ciò che nacque come rappresentazione di corte, diverrà uno spettacolo pubblico per un pubblico pagante.
Ed ecco che la scenografia inizia a divenire estremamente importante. Le meraviglie ideate nei giardini, nell’architettura fantasiosa e ardita del barocco, trovano posto sul palcosenico, inventando spazi e condizioni: bocche di inferno, scene di foreste, sale, palazzi. In questo contesto gli eroi si ritrovano a cantare le loro storie intime e le loro glorie militari, seppur guardati con una certa dose di ironia.
La scenografia colma di trucchi e trovate geniali evolve pian piano arrivando a ciò che è oggi, con la sola grande rivoluzione della "recente" invenzione della luce elettrica. Nel frattempo si afferma il teatro a palchetti che conosciamo oggi.

E il canto?

La Camerata de’ Bardi aveva pensato a un canto declamato per i personaggi di queste avventure e coniò l’espressione "recitar cantando", come se fosse data loro la possibilità di parlare intonando.

 

 

Roberto Staccioli, entrata di Orfeo – Euridice di Giulio Caccini (1602)

 

 

Se facciamo un balzo in avanti, nel ‘700 possiamo cogliere le principali differenze. Il pubblico è cambiato, i palchi sono di proprietà e al loro interno chi li possiede riceve ospiti, mangia, si  comporta come se fosse a casa propria. L’Opera in pratica ha luogo in un baccano tremendo.
Parallelamente il compositore sente di poter andare oltre e non vuol più seguire solamente la parola. Nasce così l’"aria col da capo". La musica si slancia, prende le parole e vola.
Inizia solitamente con una enunciazione su un canto spianato e continua poi con una seconda parte di bravura, dove i cantanti possono aggiungere delle variazioni, agilità, trilli e abbellimenti, col risultato di regalare o un eccesso di tecnica e di esibizione, o una grande manifestazione di libertà.

 

ecilia Bartoli, Lascia ch’io pianga – Rinaldo di Georg Friedrich Händel (1711)

 

 

Con la divisione tra arie e recitativi anche il pubblico dei palchi si zittisce e si affaccia per assistere alle attesissime arie, cuore dello spettacolo.

 

Maria Callas – Norma di Vincenzo Bellini (1831)

 

                                                                                                                                                          continua…

(Carlo Melato)