È stata veramente una bella serata, quella che ha visto protagonista Cristiano De André alla Feltrinelli di Via Appia a Roma dove ha presentato il suo nuovo cd “De André Canta De André”, già nei negozi.
Un Cristiano in gran forma, pungente, attento, politico, che in certi momenti ha ricordato il miglior Fabrizio De André.
Nella prima parte dell’incontro Cristiano ha spiegato il perché del lungo fermo alla sua carriera, annientato dal dolore per la perdita del padre e della madre.
«Quello che posso dire è che alla fine i dolori passano, la perdita di una persona cara, un grande amore… è un messaggio di speranza questo, per chi magari in questo momento sta soffrendo… una mattina all’improvviso ti accorgi che il dolore passa, con fatica, ma passa… Per quasi nove anni sono stato fermo perché non riuscivo a venirne fuori, nel frattempo ho perso anche mia madre. C’è chi mi diceva di riproporre il repertorio di mio padre come il mio vecchio produttore Angelo Carrara . Ma non era il momento, non ce la facevo ad ascoltarlo, ho provato a cantare le sue canzoni, ma dopo tre accordi mi bloccavo.
Determinante è stata l’esibizione nel corso dello speciale che Fabio Fazio ha voluto dedicare a mio padre, quella sera al Porto Antico di Genova, quando ho cantato insieme a Mauro Pagani con il freddo, le sirene delle navi che salutavano mio padre, ho provato una grandissima emozione. Da quel giorno è stato un susseguirsi di telefonate, di mail, di lettere. Tantissima gente mi manifestava affetto e stima e mi invitava a continuare, a cantare le sue canzoni. A quel punto l’intervento di Michele Torpedine e Bruno Sconocchia, i miei nuovi produttori, un binomio storico che si è rimesso insieme proprio per questo progetto, ha fatto il resto».
Assai difficile era trovare una chiave di lettura, un nuovo modo di riproporre un repertorio straordinario con il quale molti si sono confrontati inanellando anche clamorosi insuccessi. La conoscenza, il vissuto di certe canzoni, l’averle assaporate sin da piccolo, ha giocato a favore di Cristiano che, intelligentemente, con estremo gusto ha rielaborato i materiali evitando così confronti e dando una chiave di lettura personale.
«È chiaro che questa operazione l’ho filtrata attraverso i miei gusti musicali decisamente più rock, fondamentale il lavoro di Luciano Luisi che ha lavorato sugli arrangiamenti e proprio perché meno coinvolto è riuscito a tradurre le mie idee spostando gli arrangiamenti su certe mie influenze (Radiohead, Peter Gabriel).
Anche nella scelta dei musicisti ho evitato di ricorrere a quelli di mio padre, proprio perché volevo fare qualcosa di mio. La band (Luciano Luisi, piano, tastiere e programmazione, Osvaldo Di Dio, chitarre, Davide Pezzin, basso e contrabbasso, Davide De Vito, batteria) dopo le prime date di inevitabile rodaggio tira alla grande e questo nel disco si sente».
Il cd che esce a prezzo speciale, arricchito da un bel dvd, è stato registrato nel corso della tournée estiva che lo ha visto trionfare in ogni parte d’Italia. Dei circa trenta brani in programma sono stati catturati Megu Megun, ‘A çimma, Ho visto Nina Volare, Se Ti tagliassero a Pezzetti, Smisurata preghiera, Verranno a chiederti del nostro Amore, Amico Fragile, La Canzone di Marinella, Quello che non ho, Fiume Sand Creek e Il Pescatore.
«Tutto il repertorio è stato riproposto con nuovi arrangiamenti; in particolare in ‘A çimma che più mi sono divertito a modificare, a cucirgli un nuovo abito. Brani come Amico Fragile, Verranno a Chiederti del Nostro Amore, scritta da mio padre per mia madre e Il Pescatore, sono rimasti fedeli agli arrangiamenti originali.
Amico Fragile, di tutte le canzoni, è quella che sento più mia perché ha dentro questo mal di vivere che aveva mio padre, che ho anche io, che ha Vasco, che molti artisti hanno, accomunati da questa voglia di rifiutare l’ovvietà e anche di rimanere soli quando si rifiuta… c’é tutta la sofferenza della solitudine, quella sofferenza che un po’ tutti ci portiamo addosso. È un pezzo molto intenso che lo stesso Vasco Rossi ha deciso di inserire nel suo prossimo disco».
Stimolato dalle domande del pubblico (tanti giovani presenti) Cristiano parla anche della eventualità di realizzare un album di proprie canzoni originali.
«…Miei brani, sì l’idea è di fare un disco per il 2011, adesso ho proprio poco tempo, abbiamo un calendario fittissimo che si protrarrà fino alla prossima estate dovremmo superare le 100 date in un anno, a oggi ne abbiamo già fatte quarantacinque, continuiamo a ricevere richieste.
Insieme a Luciano Luisi stiamo buttando giù qualche idea, ho scritto delle cose, ma comunque ho tutto qui (passandosi la mano sul petto) devo solo avere il tempo per farlo. La strada è questa, non farò passare molto tempo anche se a volte un disco porta a dei ripensamenti mentre lo si realizza, ma diciamo che nel 2011 ci sarò».
Ora Cristiano comincia a volare alto; in certi momenti sembra di ascoltare il padre, il pubblico è lì anche per questo e non manca di sottolineare certi passaggi, quasi fosse alla ricerca di qualcuno che possa prendere il posto di Fabrizio che per molti di noi ha rappresentato tanto: la voce di tutti quelli ostinati e contrari.
«…Quelle che abbiamo riarrangiato hanno questa forza, Fiume Sand Creek è diventata una cavalcata di questo generale Custer che va a sterminare gli indiani e in questo caso è dedicato ai generali Custer che in questo momento ci stanno rompendo i c……. (scoppia un grande applauso)…
In realtà la scelta dei brani non nasce solo da un punto di vista musicale, ma anche da un punto di vista letterario, per cercare di scegliere delle canzoni che si legassero, che ogni pezzo raccontasse a modo suo il periodo storico che sta passando, questo secondo Medioevo questa società barcollante, politicamente, in ogni senso. Proprio Megu Megun che in qualche modo racconta la storia di questa persona che attraverso queste gallerie, attraverso questo dottore che gli dice di prendere l’aria e lui che gli dice che contratto mi fai fare Medico Medicone, voglio dormire, voglio sognare, un po’ alla Shakespeare, preferisce staccarsi. C’è chi vuole urlare questo diniego come in Smisurata Preghiera che credo sia uno dei più bei testi mai stati scritti.Credo che ogni canzone racconti un po’ questo nostro momento preciso…
Di base lui è stato uno che fotografava il momento; però oggi ho capito quelle canzoni che per me potevano essere più rappresentative, ne ha scritte più di 150 non è stato facile fare una scelta, anche con la fretta che avevamo. Però sono contento questa è una scelta più rock c’ è una crescita in questo disco e anche nel concerto ci sono momenti più intimi dove facciamo un parte acustica dove io racconto anche quello che ho scritto nel libretto la storia di Alice di De Gregori…, c’è Oceano, La Cattiva Strada, Un Giudice, alla fine sono legate e poi il concerto riprende e si chiude con Sand Creek e il finale de Il Pescatore con questo Gesù che ci guarda dall’alto e quindi la speranza di un nuovo rinascimento (scatta un grande applauso)».
L’incontro ha un paio di cadute di tono dovute al moderatore Gino Castaldo prima penna di Repubblica che, come un grande vino invecchiato male nella barrique sbagliata, a tratti, risulta “imbevibile” e, pensando di essere “spiritoso” domanda (mentre si sta parlando delle tante cover delle canzoni di Fabrizio De André): “Così, per sdrammatizzare un po’, fra tante reinterpretazioni una che proprio ti fa schifo?” Oppure quando, per mettere in risalto le doti di musicista di Cristiano, sminuisce l’immagine di Fabrizio, facendo capire che, a inizio carriera, era molto meno preparato del figlio.
È falso, questo non si può dire, Fabrizio è stato sempre un fior di musicista (aveva studiato violino, chitarra classica e a, sedici anni era il chitarrista di un gruppo jazz formato da eccellenti elementi come Luigi Tenco). Su questo falso storico, alimentato anche da tuttologi come Michele Serra che ha sentenziato (sui fascicoli di Repubblica dedicati a Fabrizio) baggianate del tipo: “Così che non esiste, musicalmente uno “stile De André ” o peggio ancora “Non essendo un vero musicista Fabrizio…” dobbiamo fortemente dissentire, Fabrizio De André va rispettato anche oggi che non c’è più.
Cristiano racconta come proprio nell’ultimo tour (’97-’98), sia avvenuto un forte riavvicinamento con il padre. I due, nel corso dei concerti hanno l’opportunità di parlarsi, di chiarirsi, spiegandosi il motivo di certe scelte. L’emozione, la nostalgia per il padre, per un attimo, sembra prendere il sopravvento, Cristiano interrompe una domanda proprio per puntualizzare.
«Mio padre mi disse in concomitanza con l’ultima tournée, proprio in uno di questi momenti particolari, che dicevo prima dove eravamo insieme e ci lasciavano andare “Cristiano ho scritto, da quando avevo vent’anni, contro la guerra, a favore delle minoranze, contro l’apartheid, per dare voce a chi non l’aveva, mi sono schierato, ho preferito mollare l’impero della borghesia, l’ovvietà, per andare a vivere la passione che mi dava passeggiare per i vicoli, parlare con i contadini piuttosto che con gli emigrati, ho lottato per un ideale, per delle cose e continuo a vedere che il mondo continua a cascare e inciampare, quindi al contrario. Sono stanco e mi metto insieme a molti che hanno fatto la stessa cosa come me, molti scrittori, cantautori, poeti”. Forse non gli dissi niente ma capii la sua stanchezza… Si vede che la musica, la canzone, la poesia ha poco potere per riuscire a cambiare le cose.
Oggi che lui non c’è più da dieci anni, arrivano ai concerti ragazzi dai quindici anni che conoscono le sue canzoni a memoria come quelli di sessanta, mi arrivano mail di quindicenni che davvero prendono come punto di riferimento quello che lui ha scritto, ci credono, combattono, dicono la loro a scuola, nel mondo, in giro, in qualsiasi campo, insomma adesso se lui fosse qui davanti glielo direi “Papà ti sei sbagliato” (qui scatta un lungo affettuosissimo applauso)… Io sento un grande fermento, quindi io penso, che nel bene o nel male, far conoscere quello che ha scritto mio padre è importantissimo, perché fa bene… è terapeutico (sorride)».
A questo punto il pubblico formula una domanda che in qualche modo affronta il problema della “moda” conseguente alla morte di Fabrizio, delle tante rivisitazioni, dei libri, degli spettacoli che rischiano di banalizzarne sia l’opera, sia il pensiero…
«Credo siano parole… se una tendenza, una moda diventano poesia non è mica male. Si diffonde una buona tendenza se la tendenza è un vestito, diventa solo un vestito, se la tendenza diventa qualcosa dove ascoltando più volte si può scoprire sempre delle cose diverse… credo che la forza di mio padre, oltre alla coerenza, è stata quella di lasciare poi al pubblico scegliere e dare l’interpretazione di quello che ha scritto e quindi, ascoltandolo e leggendolo, tu puoi avere anche più di una visione di quello che c’è, che è stato fatto e scritto, quindi, di per se, è stimolante se deve essere una tendenza è una tendenza comunque stimolante».
Alla successiva puntualizzazione della interlocutrice Cristiano replica giustamente…
«Ognuno di noi poi ha il suo punto di vista, la sua emozione, la sua interpretazione; io sono qua oggi perché è uscito un album, non è un tributo che io faccio a lui, è un documento mio, di mio padre, di una persona che era mio padre. Io sono suo figlio che ho fatto questa cosa… basta. Perché devi avere l’ispirazione per farlo io in questi cinque anni non ce l’ho avuta. Mio padre diceva: sei hai qualcosa da dire dillo, se no stattene zitto. E io sono stato zitto».
Finalmente! lo aspettavamo Cristiano per riassaporare il suo grande talento, convinti da tempo che fosse l’unico capace di portare sulle sue spalle l’eredità del padre, con il rispetto, la dedizione, le capacità, l’affetto che un’ artista come Fabrizio De André merita.
L’incontro volge al termine, Cristiano racconta dei suoi esordi e sfoggia anche il tipico umorismo dei De André.
«Mi rosico abbastanza da solo prima di tirar fuori qualcosa, devo accettare anche che esiste Cristiano e poi sono contento di aver fatto delle cose e di avere avuto un riconoscimento alle cose che ho fatto. Con Scaramante ho quasi fatto un disco d’oro in periodi difficili per la discografia, ho riempito i teatri, ho un pubblico che mi ha seguito ci sono arrivato piano piano ci sono canzoni che sono piaciute di più, persone che non mi conoscono, persone che dicono che io sono un figlio di papà. Io sono un figlio di papà, che però ha accettato di esserlo, non ci ha marciato tanto, io ho iniziato studiando violino, teatro, facevo la mia gavetta, il mio primo impresario era Nando Sepe la Part Management, penso di aver fatto quattro-cinque anni di concerti nelle feste di piazza, la festa della porchetta, con la luminaria, con la gente arrampicata sul palco, che se c’era un giocoliere o un prestigiatore era uguale, tre o quattro anni così ti servono, mi sono serviti per andare avanti, per cercare di proporre quello che mi andava in quel momento lì, questo sono io, mi sono accettato perché avere un padre del genere, avere un genio in casa ti devi scordare il complesso di Edipo non esiste, non è facile sicuramente, ma sono stato fortunato perché potevo nascere anche figlio di Pupo, voglio dire (ride)».
La serata si conclude con l’immancabile richiesta di autografi sul vendutissimo cd, passa più di un ora, un abbraccio a qualche vecchio amico del padre e si prepara per una intervista…
La libreria è vuota, Cristiano, di spalle, sul palco, sta rispondendo alle domande di Teresa Marchesi del TG3, ci sembra di essere tornati indietro negli anni, per un momento abbiamo quasi l’impressione di rivedere Fabrizio, è un’emozione breve ed intensa… forse Fabrizio era lì con noi. Fabrizio non ci ha mai lasciati.