«Il sogno che non si avvera è una menzogna», diceva quasi trent’anni fa Bruce Springsteen in uno dei suoi pezzi più rappresentativi, la bella The River. Ancor prima di questo brano, in quello che è il suo pezzo-manifesto per antonomasia, Born To Run, Springsteen suggeriva tutta la difficoltà del sogno: «Di giorno sudiamo per le strade di un Sogno Americano sempre più sfuggevole». Trent’anni dopo lo stesso Springsteen canta di “star costruendo un sogno”, “working on a dream”, come recita la title track del suo nuovo, recente disco che si è piazzato subito in testa alle classifiche di mezzo mondo.
Come se non avesse fatto tesoro delle sue stesse parole, Bruce è fermamente ancorato nel “sogno”.
Springsteen è americano autentico, un vero “all american boy”, ed è perciò facile capire quanto sia importante per lui questo concetto.
L’“American Dream” è quella ossatura che ha tenuto insieme questa nazione per quasi tutta la sua storia e Springsteen è il musicista rock che ne ha maggiormente cantato, così come hanno fatto anche tanti dei suoi colleghi. The promised land, la terra promessa, è quel sogno tutto americano che ha percorso ogni rivolo di questa nazione fin dal suo concepimento, e la lista di canzoni dedicate alla “terra promessa” è lunghissima. Ovviamente, anche Bruce ha scritto la sua Promised Land.
Ed è bello che sia così, perché è questo il grido del cuore dell’uomo che anela al compimento delle sue esigenze fondamentali, quelle di felicità, giustizia, affettività soddisfatta. Nella musica rock questo desiderio è sempre rimbalzato preponderante. C’è un’altra canzone di Bruce, tutt’oggi ancora inedita sebbene spesso eseguita dal vivo (anche a Milano, nel 2003) che addirittura si intitola Follow That Dream (“insegui quel sogno”) e dice: «Ogni uomo ha il diritto di vivere, ha il diritto ad avere una possibilità, di dare ciò che ha da dare, il diritto di combattere per le cose in cui crede, per le cose che gli giungono nei sogni: segui quel sogno dovunque ti conduca, segui quel sogno e troverai l’amore di cui hai bisogno».
Più esplicito di così: sembra quasi la versione in musica della carta costituzionale americana.
Working on a Dream, la canzone (che ovviamente fa anche riferimento al sogno di Obama, che a sua volta si riferisce esplicitamente all’“I have a dream” di Martin Luther King), torna sulla possibilità di rendere reale il sogno: «Le notti sono lunghe e i giorni sono solitari, penso a te e sto costruendo un sogno (…) sto costruendo un sogno sebbene la fatica possa farci sentire che essa non se ne andrà, sto costruendo un sogno, il nostro amore caccerà la fatica lontano». Ma, come accennato all’inizio, Springsteen ha spesso cantato dell’infrangersi del sogno davanti alla realtà.
Nella splendida The Promise esce fuori in modo potente e con una dose di realismo difficilmente rintracciabile altrove la vera faccia del sogno: «Feci una grande vincita, una volta, e andai sulla costa, ma in qualche modo ne ho pagato il prezzo. Dentro di me sentivo di portare gli spiriti distrutti di tutti quelli che avevano perso: quando la promessa si spezza vai avanti a vivere ma ti ruba qualcosa dall’anima (…) qualcosa nel tuo cuore si raggela. Ho inseguito quel sogno (…) per tutta la vita ho combattuto questa battaglia, la battaglia che nessun uomo potrà mai vincere».
In un libro che difficilmente il cantante americano leggerà mai (“Si può vivere così?”), Luigi Giussani scrive: «Le esigenze del cuore pretendono di essere esaudite; siccome l’uomo non ha la forza di realizzarle, di raggiungere cioè il traguardo che esse fanno prevedere, l’uomo dà forma a questa pretesa secondo il volto, secondo la consistenza fragile e ultimamente illusoria che si chiama sogno. Il cuore dell’uomo sogna, così che le sue esigenze vengano soddisfatte; sogna, dà una forma positiva al suo cammino. Ma il sogno del cuore dell’uomo non può sostenere le ragioni di una certezza, della certezza che le esigenze siano esaudite».
E ancora: «Il cuore dell’uomo è fatto per la felicità. Se riconosce la grande Presenza, se vive la certezza nella grande Presenza, capisce che è dalla grande Presenza che può venire la ragione della certezza che i suoi desideri si attuino; perciò domanda con l’aiuto della grande Presenza di raggiungerli così come essa vi ha dato forma eterna: questa forma si chiama ideale. Cioè la speranza si traduce in desiderio di sogno, o in desiderio ideale». Se ne era accorto Bob Dylan, anni fa, quando nella sua When You Gonna Wake Up cantava: «Hai dei grandi sogni, bambina, ma per sognare devi rimanere addormentata».
Come dire: la vita, quella vera, non si basa sui sogni, è altro, accade mentre tu stai dormendo e sognando. E a proposito di sogno, ha detto una volta: «Per fare un sogno ci deve essere qualcosa davanti a te, devi aver visto o sentito qualcosa per poi poterlo sognare. È tutto accaduto, è tutto stato detto e io l’ho sentito: ho prova dell’esistenza di tutto. Io sono un messaggero: capto le cose, cose che arrivano fino a me perché io possa poi riproporle nel mio particolare stile». Ma il più grande squarcio di realismo, nella canzone rock, l’ha dato John Lennon nella sua Beautiful Boy, dedicata al figlio di 5 anni, una delle ultime canzoni registrate poco prima di essere ucciso e che suona oggi come autentica profezia: «La vita è quello che succede quando sei occupato a fare altri progetti».
È la vita che si impone, ed è quello che spesso è mancato alle canzoni rock, ferme sulla soglia della vita ad osservare il sogno. A proposito, un’amica qualche giorno fa mi diceva: «Io amo le parole, per me hanno un grande valore e possono rendermi felice o disperata, ma solo quando e perché “raccontano” la vita, non se “diventano” la vita. Altrimenti sono solo chiacchiere».