«Questa canzone nasce come una preghiera, in un momento difficile della mia vita».
If It Be Your Will, se questa è la tua volontà, viene dapprima recitata, la voce profonda e antica come il profeta che declamava i suoi versi davanti al tempio di Salomone. Poi la stessa voce aggiunge «adesso la canteranno le Sorelle Webb». The Webb Sisters – splendido duo femminile che insieme a una terza vocalist, la nera Sharon Robinson, hanno accompagnato il poeta per tutto il suo inaspettato, sorprendente tour del ritorno alle scene – intonano meravigliosamente, con vere voci angeliche, la canzone scritta da Leonard Cohen.
È uno dei momenti più toccanti e incisivi di un disco che è tutto toccante e incisivo, il doppio cd (anche su dvd) uscito in questi giorni dal titolo “Live in London” e che documenta il concerto tenuto appunto a Londra, alla 02 Arena la scorsa estate, nel corso del tour mondiale che ha anche toccato l’Italia due volte e che ha visto la bellezza di 700mila spettatori in 84 concerti.
If It Be Your Will è dunque una preghiera («Se è la tua volontà che io non parli più e che la mia voce rimanga silenziosa, come lo era prima, non parlerò più… Se è la tua volontà che una voce sia vera, canterò per te») come lo sono in fondo tutte le canzoni di questo straordinario artista 74enne. Che canti l’amore carnale, il desiderio o la perdita, un mondo imbestialito tra “matrimoni spezzati” e “bambini non nati”, o finanche il misterioso atto del creare una canzone, Leonard Cohen sta pregando. È evidente in Anthem, canzone che esalta la natura del cuore dell’uomo: «Suona le campane che ancora possono suonare, dimentica la tua offerta perfetta. C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che passa la luce».
Ventisei canzoni che passano in rassegna una carriera cominciata nel 1968, da Suzanne fino alla recente Boogie Street, passando per brani di struggente bellezza come Hallelujah o Bird on the Wire.
Accompagnato da un ensemble elegante che sparge con discrezione umori jazz, soul e folk, specialmente il bravo tastierista Neil Larsen e il multi strumentista Javier Mas, Cohen si esibisce con eleganza sembrando stupirsi lui stesso di canzoni che raramente permettono di vedere un autore mettersi così a nudo davanti al suo pubblico. E il pubblico percepisce questo, con larghi e affettuosi scrosci di applausi. Allora hanno senso le parole di giornali come l’irlandese “Independent”, che ha scritto: «Quando (…) Cohen si trova sul palco, non ci si più aspettare nulla di meno di un evento culturale di dimensioni bibliche».
Un documento prezioso allora, da conservare e a cui tornare a lungo, questo “Live in London”, testimonianza di un modo di intendere la canzone e l’arte come porta aperta al mistero. Un mondo che va scomparendo sempre più, non solo nella canzone.