Il canto popolare è di tutti e di ognuno. Celebra le sue differenze, cantando l’orgoglio delle proprie tradizioni, il proprio modo – secolare – di vedere e percepire la storia, i propri personaggi, addirittura il proprio modo di amare e di celebrare l’amore.
Il modo in cui Mi tierra. Amor y canto (Tempi) raccoglie sedici titoli della tradizione spagnola sembra fatto apposta per guidarci emozionalmente dentro la tradizione di Spagna, secolare eppur trasformata qui in cosa viva, in battito vivace, in armonia attuale, presente.
L‘operazione del disco non è facile, perché l’interpretazione qui non può essere “solo” di facciata o di tecnica, ma punta a valorizzare sensi e motivi di canzoni e melodie per aiutare chi ascolta – come dice Javier Prades nelle note di presentazione del cd – “ad aprirsi all’altro, al diverso e, forse, finora sconosciuto”.
Per fortuna Manoli Ramirez de Arellano, stupenda voce, e i musicisti che la affiancano (in primis le due chitarre di Rafael Andreo e Marco Squicciarini), danno fiato e cuore alla feconda varietà di canzoni scelte per rende ragione di un impianto popolare così complesso, con titoli che vanno dalla Castilla alla Catalunia ai Paesi Baschi, dalla tradizione ebraica all’Andalusia, contaminandosi qua e la di fado e flamenco.
Tante le suggestioni di sedici titoli in gran parte per voce solista. Personalmente son rimasto affascinato da El relicario, un pasodoble di José Padilla, storia (pare l’Hemingway dei “Racconti”) di un torero che, mentre muore trafitto nell’arena, affida all’amata un “reliquiario” di prezioso tessuto. E poi da Granada, forse la più celebre delle canzoni qui raccolte (in Italia era stata registrata e portata al successo da Caldo Villa negli anni Sessanta), composta dal messicano Augustin Lara, inno d’amore a una terra di “donne bellissime, di sangue e di sole”, canzone perfetta per esprimere tutte le variazioni di colore e sentimento della voce di Manoli, intensa interprete di tutto il cd, in grado di suggestionare in questo suo gioco a condurre chi ascolta nella scoperta dell’anima di Spagna.
Un’intensità che si esprime bene in El Noi de la Mare (di impianto cameristico), ne Una Oración rociera e nel titolo andaluso Los Campanilleros, canzone che ci porta ai confini del flamenco, narrazione di un amore cantato e sofferto: “Ricordate all’uomo che più amo/ che all’alba venga alla mia finestra sbarrata/ gli consegnerò il mio cuore quando arriverà/ mentre canto le pene che ho sofferto”.
L’attenzione va poi a finire su El Ebro guarda silencio (Sierra de Luna), con la sua intro di chitarre e fisarmonica. È storia corale del paese spagnolo, della sua natura, una canzone di popolo e di festa: è la descrizione dell’Ebro, che scorre dalla Sierra de Luna a Saragozza, ma che “tace quando passa vicino al Santuario del Pilar, la Vergine sta dormendo e non la vuole svegliare”.
Il disco si chiude su due ninna-nanna, entrambe canti baschi di straordinaria bellezza. La prima è “laica”, Aurtxo Txiquia, dolcissima, vellutata e fascinosa, storia di un bimbo che dorme nelle braccia della madre mentre il padre – bevitore – è alla taverna a giocare.
L’altra Birjiña Maite, una ninna nanna “sacra”, con la Vergine che accompagna con la sua voce l’addormentamento del piccolo Gesù. “Il mio cuore ti ama così tanto! / Santo Agnello bianco/ dormi bene/ senza far caso all’indifferenza dell’uomo”. Entrambi dormono, un bimbo e il Bimbo, nelle braccia di una madre che offre amore, superando “l’indifferenza dell’uomo”, melodie finali di un cd-testimonianza storica, che parla a tutti con il denominatore comune della sincerità e della bellezza.



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