È la coerenza a salvare l’uomo? E soprattutto, un artista deve essere coerente con la bellezza che ha creato, perché la sua opera d’arte sia tale?

Sono queste le domande che il sempre brillante Nick Hornby (autore, di fra gli altri, libri acclamati diventati anche film di successo come “Febbre a 90”, “Alta fedeltà”, “Un ragazzo”) si pone nel suo nuovo romanzo, il cui titolo originale è “Juliet, Naked”, tradotto in italiano con il poco significativo “Tutta un’altra musica”.



Juliet è infatti il titolo del disco che il protagonista, Tucker Crowe, una rock star che si è ritirata dalle scene musicali da circa vent’anni, ha pubblicato a metà anni Ottanta: un disperato grido di amore e dolore, rivolto alla sua musa, Juliet appunto. “Juliet, Naked” (con palese riferimento al disco dei Beatles “Let It Be, Naked”, versione ripulita degli arrangiamenti orchestrali del tempo ad opera del produttore Phil Spector) è invece il titolo di una raccolta di provini senza accompagnamento (solo voce e chitarra) che misteriosamente il curatore del sito dedicato al cantante riceve un bel giorno, dando inizio all’avventura narrata in questo libro.



Come al solito Nick Hornby si rivela efficacissimo (e divertente) narratore delle manie, dei tic e delle paranoie dei musicofili, quegli appassionati di musica che collezionano ogni cosa relativa al proprio idolo, nascondendo in questa passione i propri problemi esistenziali. Ma come al solito Hornby è anche sottile e attento narratore delle difficoltà di relazione fra le coppie: nessuno sa trattare la dinamica amore-musica in modo intelligente come lui.

Nel caso di questo libro, lo scrittore inglese approccia anche l’annoso problema del contenuto di una opera d’arte: il protagonista infatti, resosi conto della sua ipocrisia e delle sue menzogne, non reggendo il confronto fra ciò che lui è e quello che ha creato, le sue canzoni, evidente manifestazione del bello per i tanti fan, ma anche per se stesso, decide di abbandonare e ritirarsi a vita privata. Si scatenano dunque dinamiche che pongono quesiti forti: è la coerenza quello che rende plausibile una opera d’arte? O l’opera d’arte nasce proprio dalla impossibilità della natura umana di competere con il bello che ci sovrasta e ci supera da ogni parte?



Come dice a Crowe una delle protagoniste: «Sì, sei un pessimo uomo. Sei stato un padre incapace per quattro dei tuoi cinque figli, un marito incapace per tutte le tue mogli e uno schifo di compagno per tutte le tue ragazze. E Juliet (il disco che lui ha inciso, nda) rimane sempre stupendo». Questa è la verità.

Hornby anche questa volta diverte e trascina nella lettura, con i suoi arguti riferimenti a veri protagonisti della canzone rock, da Bob Dylan a Bruce Springsteen, e sa affrontare il tema delle relazioni sentimentali con vivo senso del realismo: anche questa volta, come già in "Un ragazzo", sarà proprio il piccolo figlio del protagonista a permettergli di recuperare, dopo una esistenza spesa tra alcolismo e innumerevoli avventure sessuali, un approccio maturo e finalmente definitivo nella sua esistenza.