Presentato sul canale televisivo History Channel poco prima dello scorso Natale, “The People Speak” è un documentario ispirato al libro “A People History of the United States” dello scrittore Howard Zinn, originariamente pubblicato nel 1980. Il libro – e il documentario – rivisitano la storia d’America attraverso protagonisti minori e spesso tralasciati dalle cronache ufficiali e soprattutto con un approccio “antagonista”.
È un dato di fatto che la doppia presidenza Bush abbia portato, negli Stati Uniti, a un inevitabile ritorno dell’impegno politico a tutti i livelli, e dunque anche in un campo, quello della musica rock, che dai primi anni Settanta, salvo sporadiche manifestazioni, se ne teneva ben lontano.
Per la colonna sonora, registrando performance apposite, si sono allora mossi alcuni grandi nomi della scena rock, da Bruce Springsteen a Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam, e poi Randy Newman, Jackson Browne e altri. C’è anche Bob Dylan, lontano dall’attivismo politico più o meno dai tempi dell’assassinio di John Kennedy, e la cosa stupisce un poco. Non stupisce però – che oltre alla sua presenza, impegnato in una bella rilettura di Do Re Mi del padre di tutti i cantautori, Woody Guthrie, con l’accompagnamento eccellente di Ry Cooder e Van Dyke Parks, nel disco ci siano altre due canzoni, e cioè la cattivissima Masters of War eseguita da Eddie Vedder e registrata, acustica, dal vivo, e la conclusiva Only a Pawn in Their Game, anch’essa acustica, dal cantante dei Black Crowes, Rich Robinson.
Per il resto, Bruce Springsteen insegue i suoi fantasmi degli ultimi anni, John Steinbeck e Woody Guthrie, evocati in una discreta The Ghost of Tom Joad che però non suscita grandi emozioni. Meglio di lui fa lo spettacolare Lupe Fiasco, nome d’arte per il rapper Wasalu Muhammad Jaco, che esegue un hip-hop acustico di grande impatto, American Terrorist, mentre stupisce anche la stellina del pop di MTV, Pink, con una efficace e sentita Dear Mr President. Bella anche Drums of War di Jackson Browne, da sempre musicista politicamente impegnato, molto dylaniana come esposizione.
Tutti i brani sono per sola voce e chitarra acustica o pianoforte: intenso, come sempre, Randy Newman con il suo vecchio cavallo di battaglia dei primi anni Settanta, l’ironica Sail Away, mentre due vecchi protagonisti della scena punk di Los Angeles, Exene Cervenka e John Doe, si danno alla ballata folk con See How We Are. Molto bravo l’artista di colore John Legend, che esegue un classico della canzone impegnata, What’s Going On, di Marvin Gaye; trascinante il bluesman Taj Mahal con Blues with a Feeling.
Un disco che nella sua essenzialità e povertà di mezzi, riesce nell’intento di raccontare la voce di tanta gente che, lontana dai riflettori, ha contribuito a cambiare un grande paese come gli Stati Uniti.