Ogni tanto val la pena dare un occhio alle hit parade dei Paesi che contano. Certo, c’è la nostra classifica nostrana, con Sanremo e sanremesi al comando (vuol dire che il festivalone assolve ancora al suo compito: far vendere qualche disco, anche se oggi con diecimila copie vendute si va in paradiso), ma dare un occhio in giro non fa male. Negli Usa, ad esempio, mi intrigano i primi tre posti: Sade, Lady Antebellum e Johnny Cash, con “American VI” (recentemente recensito proprio su IlSussidiario.net).



A parte l’immenso Cash, val la pena ricordare che Lady Antebellum è un vero caso: un trio country rock di Nashville (una bellissima bionda vocalist, Hillary Scott, un cantante fascinoso, Charles Kelley e un musicista tutto fare, Dave Haywood) ha tutte le carte in tavola per centrare prima o poi il successo anche in Europa (come avevano fatto Garth Brooks e, in modo più superficiale, Shania Twain). Ma la cosa che mi sorprende piacevolmente (e sono andato dalla base verso l’altezza) è Sade con “Soldiers of love”, prima negli States, prima in Inghilterra e in tutta Europa (Italia compresa: pure da noi ha esordito in vetta).



La cinquantunenne cantante nigeriana (non stiamo a sindacare sul fatto che il nome identifichi anche una band in cui militano anche Andrew Hale, Stuart Matthewman e Paul Spencer Denman) ha fatto un disco eccellente dopo dieci anni di silenzio dal multiseller “Lovers rock” (oltre 9 milioni di copie).

 

Dieci canzoni, con dei must come Long hard road e Bring me home e un capolavoro assoluto come In another time, una ballata soul da dieci e lode tra violini e chitarre acustiche. Chi ha già amato Sade dai tempi di My love is king e Smooth operator, ha da che gioire per l’assoluta fedeltà al progetto iniziato nel 1984 con Diamond life, gli altri hanno da che scoprire.



 

Ma quel che mi stupisce piacevolmente è che il mercato e il gusto planetario premino un progetto musicale così lineare, semplice e di qualità cristallina. Nell’universo di Sade non c’è la sciatteria di Lady Gaga o la trasgressione traballante di Amy Winehouse. L’eleganza regna sovrana, senza uscire mai dalle righe della musica, con una musa estatica e finanche statica (in fin dei conti da oltre venticinque anni Sade continua a interpretare infinite variazioni sul tema), fascinosa e bellissima, impalpabile come i suoi arrangiamenti.

 

Il successo riscosso da Sade fin dagli anni Ottanta si ripete, con tutto il mondo discografico che silenziosamente l’applaude: finalmente qualcosa di largo (anzi larghissimo) consumo che possa essere veramente apprezzato. O almeno non ignorato.