È francese, vive a Parigi, ma incide i suoi dischi in America. Si chiama Dorothée, ma come nome d’arte ha scelto quello di The Rodeo. Che è un anagramma appunto di Dorothée, ma anche un riferimento a uno dei grandi dischi della storia del rock, quel “Sweetheart of the Rodeo” dei Byrds che, pubblicato nel 1968 in piena sbornia rivoluzionaria e di droghe psichedeliche, ribadiva il ritorno alle radici della musica popolare nordamericana. Era infatti il primo disco di country music inciso da una rock band. Per Dorothée-Rodeo, che adora la musica country e folk americana, un segno da portare nel nome. Un segno anche del rinnovato interesse dell’ultima generazione di songwriter per la musica delle radici.
L’abbiamo incontrata a Milano dove è venuta presentare il suo primo vero cd dopo due ep che erano più che altro dei biglietti da visita. Si intitola “Music Maelstrom”, un debutto in piena regola per un nuovo talento del cantautorato. Prodotto da Stuart Sikes, che ha lavorato in passato con artisti importanti della scena alternative americana come Cat Power e White Stripes, è un bel disco che rappresenta benissimo la sempre più vivace ondata di folk indie che sta prendendo piede.
Come mai una ragazza francese decide di andare a incidere negli States?
Ho fatto il mio primo viaggio in America quando avevo 19 anni e da allora ho sempre cercato di tornarci appena possibile. Mi sono innamorata di quel paese e della sua gente. Ho scoperto una realtà che va al di là degli stereotipi che spesso noi europei abbiamo degli Stati Uniti.
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Nel tuo disco c’è infatti un brano che si intitola Uncle Sam e che suona come un’affettuosa dedica a quel paese.
Esattamente. In Europa spesso quando si pensa all’America si pensa ai cheeseburger, ai tv show, a una certa attitudine da bulli… Ma nella canzone ho voluto dire essenzialmente che io non giudico, non giudico gli americani. Ho incontrato gente dell’America più profonda, che neanche sanno dove si trova Parigi, ma non mi permetto di giudicarli. Ho voluto invece esprimere affetto.
Come mai questo titolo, “Music Maelstrom”?
È un gioco di parole con “music maestro”, un modo scherzosamente ambizioso di definirmi. Invece “maelstrom” è una parola norvegese che sta a definire quei grandi gorghi, quelle voragini che si aprono nel mare. Così ho voluto dare l’idea di un gran “gorgo musicale”, cioè una specie di introduzione alla mia musica. Come dire, ecco io sono tutto questo e anche di più.
Tu sei francese ma le tue canzoni sono cantate in inglese. Come componi, prima nella tua lingua o direttamente in inglese?
Ho sempre scritto in inglese. Il suono delle parole in quella lingua viene musicalmente molto bene, le parole sono brevi e puoi inserirne quante ne vuoi. Non sono mai stata appassionata della canzone francese, eccetto i grandi nomi del passato ovviamente, ma oggi la canzone francese è davvero poca cosa. Certo, la Francia ha una grande tradizione letteraria di scrittori e poeti, ma quando si tratta di fare musica.. beh, il francese secondo me non funziona. Se le mie canzoni fossero scritte in francese, avrebbero un altro sound, la musica sarebbe differente.
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Fra le tante, c’è una canzone molto bella nel disco, si intitola Modern Life. Di cosa parla esattamente?
Parla del mondo in cui viviamo, un mondo che a volte mi spaventa. Le nuove tecnologie, il potere dei mass media, il marketing estremo… A volte mi sento persa in questa realtà, vorrei fuggire su un’isola deserta dimenticando a casa telefono e computer. In questo mondo moderno, ogni giorno siamo umanamente più vulnerabili, vogliamo che ogni cosa sia perfetta, abbiamo paura di mostrare le nostre debolezze…
L’immagine è diventata tutto: apparire forti e sicuri è la parola d’ordine. Non voglio essere una che si lamenta della modernità, ma a volte penso con preoccupazione alle nuove generazioni. Ho un fratello dieci anni più giovane che non solo non ha mai visto un disco in vinile, ma neanche un cd… Anche la musica è diventata “liquida”…
Tutto questo mi fa pensare a come tanti giovani cantautori come te, in Europa e negli States, si stiano avvicinando alle musiche delle radici, alla canzone folk… Un rifiuto del mondo moderno?
Per anni la gente si è buttata nelle tecnologie anche in campo musicale. La musica elettronica e fatta al computer forse ha saturato i gusti. C’è il desiderio di tornare alle radici, anche musicalmente. E anche come stile di vita: tutto il grande interesse per l’ecologia è significativo. La musica folk è simbolo di tutto questo: la puoi suonare ovunque, anche per la strada. Bastano una voce e una chitarra. Pensa alla musica africana: ha a che fare con la terra, con il ritmo. È fatta davvero con l’anima. Insomma, se suoni un dj set e viene a mancare l’elettricità, sei finito! Scherzi a parte, la musica tradizionale esprime l’anima delle persone, ma è anche la narrazione della vita quotidiana, racconta la realtà, per quanto dura sia.
C’è un’altra canzone molto bella, Love Is on the Corner… L’amore dietro all’angolo?
La canzone dice che l’amore non è facile da trovare, come pensano in tanti. Ho voluto esprimere quanto mi raccontano amici che vanno a cercare la persona della loro vita su Internet. Ho sentito da loro storie buffe ma anche tristi al proposito. Con questa canzone volevo dire che l’amore non si trova dietro l’angolo, ma neanche su Internet. L’amore è una cosa più seria.
The Rodeo – clip “On the Radio”
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