“Che cosa sei”, opera prima del milanese Francesco D’Acri, mostra le ombre e le luci in cui si muove la scena musicale italiana di questo terzo millennio. Da una parte le tentazioni mainstream a cui ormai hanno ceduto anche certi mostri sacri del rock all’italiana come Ligabue e Vasco Rossi, dall’altra una voglia di “indie”, cioè indipendenza, suoni low-fi o garage, per distinguersi appunto dal mainstream. In soldoni: c’è grande confusione sotto il cielo della musica italiana, come avrebbe detto Shakespeare se fosse stato un produttore musicale invece del somma poeta che fu.
“Che cosa sei” è così: un disco pieno di potenziali hit single radiofonici, o da Mtv se preferite, ma con un suono sporco, garage, in cui a fatica la voce emerge dalla gran sarabanda di strumenti, peraltro suonati egregiamente da una schiera di musicisti da paura. E’ un disco da ascoltare tutto d’un fiato, senza interruzioni, meglio se a tutto volume durante un viaggio (possibilmente senza code) in autostrada, e allora se ne coglie il senso. Quello di una gran corsa musicale, con tutta l’urgenza di un esordiente, che ha accumulato suoni e canzoni per una vita e adesso ha bisogno di farli emergere, magari confusamente.
Il pensiero – ed è gran cosa – va subito al Lucio Battisti dei primissimi 70, quello che con genialità purissima metteva insieme le sonorità R&B afro-americane con la melodia mediterranea. In questo senso – con le differenze del caso ovviamente – si muove Francesco D’Acri: suoni grondanti note grasse di Hammond, fiati orgogliosi che dettano il ritmo, chitarre elegantemente bluesy, ritmica incalzante e danzereccia. E sopra a tutto melodie piene, che si srotolano con piacere e intelligenza, come raro trovare in tanti prodotti italiani oggigiorno.
Dicevamo dei musicisti che hanno suonato in “Che cosa sei”: Mark Harris, già produttore di Fabrizio De André e oggi tastierista di, fra gli altri, Renato Zero; Luca Zamponi, chitarrista che ha lavorato anche negli States, ha suonato con Pat Metheny e Vasco Rossi fra i tanti; Dino D’Autorio, bassista anche di Eros Ramazzotti, e infine Angie Brown, corista di Mariah Carey e Zucchero fra i tanti. Il disco, che ha una distribuzione limitata nei negozi, è in vendita diretta a questo indirizzo, oppure su iTunes: http://www.francescodacri.com/Dacri/CD.html
Una delle cose che spiccano nel tuo disco è la presenza di alcuni musicisti straordinari con carriere illustri alle spalle. Come è stato possibile per un esordiente averli con te e come è stato lavorare con questi nomi.
E’ stata una fortuna inaspettata, accaduta semplicemente grazie ad amicizie comuni. Va detto innanzitutto che Luca Zamponi, chitarrista e arrangiatore del disco, lo conosco da anni. Sul perché lui, che ha studiato tra gli altri con Pat Metheny e ha collaborato giovanissimo con Ivan Graziani e poi con Giorgia, Zucchero e altri, abbia accettato di fare il disco con me, è troppo lunga da spiegare. Dino D’Autorio abitava nello stesso condominio di Luca Zamponi fino a 6 mesi fa e quando Luca gli ha accennato la cosa si è entusiasmato per il progetto. Luca poi mi ha detto che Dino era disponibile ma ha aggiunto: “Frank, Dino ha suonato e arrangiato i dischi di tutti i più grandi in Italia… queste collaborazioni le fa per passione personale e per divertimento… solo non vuole lavorare con rompi coglioni e io gli ho garantito che tu non lo sei”.
E io: “No, no Luca…. niente rompi coglioni qua. Mi metto zitto, zitto in un angolo e guardo….” (ride, nda). Dino è un maestro. Angie Brown (corista londinese di Zucchero, Amii Stewart, Mariah Carey) ha cantato in alcune band con Luca Zamponi a partire dalla metà degli anni 90: talento pazzesco. Mark Harris, noto per essere stato il produttore artistico di Fabrizio De André, mi è stato presentato da un caro amico ed è nata da subito una simpatia reciproca, rafforzata da innumerevoli mangiate e bevute fino a tarda notte.
Al di là delle coincidenze che hanno portato questi grandi musicisti ad “incocciare” nel mio disco, rimane poi il fatto che abbiano accettato e che si siano appassionati al progetto. Questo, più del loro nome, mi ha colpito e mi ha spinto ad andare avanti: forse c’è qualcosa di veramente interessante nella mia musica? Non lo so, lo lascio dire agli altri. Già che ci siamo permettimi, poi, di ricordare anche gli altri musicisti: Mario Bracco, batterista, Francesco Piu, grande chitarrista blues che ha suonato con Davide Van De Sfroos, Ivano Conti ai cori e la sezione fiati di Max Pizio, Mauro Brunini e Alessandro Ancelotti. Grazie infine anche a Max Faggioni, per mix e master, e a Livio Magnini dei Bluvertigo per le dritte e l’inaspettata disponibilità.
Ascoltando il disco viene fuori una sorta di contrasto tra una musicalità spigliata, a tratti anche divertente, ballabile, con rimandi a sonorità R&B e rock, ma con testi alquanto “dark”, introspettivi, liriche che pongono domande più che offrire risposte.
Impressione assolutamente corretta! Questo contrasto è il tratto più forte del disco, ben miscelato grazie agli intelligenti arrangiamenti di Zamponi. A ben guardare questo contrasto, e l’apparente confusione che ne consegue, è l’unico fil rouge del disco. E’ un mondo senza più riferimenti quello in cui viviamo, schizofrenico, dove il contrasto è diventato regola. Non esistono più punti fermi: nella politica, nel lavoro, nella musica, nell’arte, nei mass media e la conseguenza ultima di questa confusione è che l’uomo non sa più chi è, non sa più che cosa è.
Luca Zamponi mi ha fatto notare che l’aspetto più potente del disco era proprio questo contrasto continuo tra una positività quasi ingenua e una drammaticità al limite del credibile, vertiginosa, quasi ostentata se non ridicola. Per questo motivo abbiamo deciso di intitolarlo “Che Cosa Sei” dal titolo della canzone che meglio descrive questa confusione, la confusione in cui vive l’uomo di oggi. Infine, in merito al fatto che il disco ponga più domande piuttosto che offrire risposte è vero. Credo che sia più interessante aprire degli argomenti ma lasciare all’ascoltatore la scelta di come rispondere, piuttosto che dargli delle risposte precostituite in modo ideologico.
In una scena musicale italiana dominata da due opposti (le grandi star da una parte e una fiorente scena cosiddetta indie dove si fa riferimento ai modelli anglo sassoni) dove si posiziona Francesco d’Acri?
Come storia personale mi colloco vicino a Ligabue e a Vasco Rossi. Certo, se pensi che Vasco è uscito a fine degli anni 70 d il Liga nel ’90… insomma…. di tempo ne è passato e forse sarebbe il caso di posizionarsi verso qualcosa di nuovo. Sicuramente il fermento è ancora nella scena indie. Ma poi…. chissenefrega. In verità non mi interessa collocarmi… Oggi, poi, esistono dei generi musicali ben definiti? Noi abbiamo cercato di usare i suoni e gli arrangiamenti che meglio ci permettevano di comunicare quello che c’era nella canzone, senza collocarci in modo ideologico in un determinato genere.
Canzoni autobiografiche o tentativo di esprimere sentimenti comuni a tutte le persone?
Le canzoni partono sempre da me, ma poi diventano di chi le ascolta. Sono sì autobiografiche, ma poi decollano, volano via e ti portano nella sfera di quel sentire che è universale, che è di tutti: sta a te accettare questo “scambio” tra la tua vita e l’universale. Tarkovsky scriveva: “L’autentica immagine artistica deve riflettere non soltanto la ricerca di un povero artista alle prese con i suoi problemi umani, con i suoi desideri e bisogni. Essa deve riflettere il mondo. Ma non il mondo dell’artista, ma il cammino dell’umanità verso la verità.”
Che musica ha ascoltato d’Acri crescendo e che musica ascolta adesso?
Ho amato e amo Elvis, il primissimo Dylan, Springsteen e i Beatles. Mi hanno divertito Stones, AC/DC, il Rock&Roll degli anni ‘50, e ho imparato ad ascoltare altri come Clash, Nick Cave, Johnny Cash, Leonard Cohen e Kris Kristofferson. Tra gli italiani Ruggeri, Guccini, Ivan Graziani, Priviero, Modugno e Davide Van De Sfroos. Una nota a parte merita Battisti, di cui fino a 5 o 6 anni fa non riuscivo ad ascoltare le canzoni per la troppa malinconia che ci sta dentro. In questo momento sul mio lettore MP3 ho Baustelle, Paolo Nutini, Swell Season, Giuliano Palma e Waka Waka di Shakira. Fantastica Shakira! In questo periodo ho anche altre canzoni africane perché sono andato in vacanza in Kenya e quel mondo mi ha entusiasmato.
Disco auto prodotto: la grande discografia pensa solo ai prodotti dei talent show televisivi o desiderio di essere indipendente?
Ma guarda, avessi avuto centinaia di proposte dalle grandi case discografiche potrei fare il figo e dirti che il mio è desiderio di essere indipendente… Ma non ne ho avuta neanche mezza di proposta né me ne sono preoccupato più di tanto. Io credo che entrambe le cose che dici siano un dato di fatto: che le major pensino solo ai prodotti dei talent è vero, così come l’autoproduzione è nata dal desiderio di farmi un disco mio, come volevo io o, almeno, confrontandomi con quelle che erano le mie iniziali intuizioni artistiche. Insomma, l’unico modo era farselo da sé. Io, poi, sono convinto che uno dei motivi per cui la discografia è in crisi è anche la perdita di contenuti, l’aver ridotto la canzone ad un valore temporaneo o “che funzioni” per le suonerie dei cellulari.
Un mio amico una volta mi diceva che se De André rinascesse oggi farebbe sicuramente un altro mestiere. I cofanetti celebrativi dei Beatles o le riedizioni di tanti grandi della musica Italiana e non che puntualmente escono a novembre e vanno in classifica nella stagione natalizia dimostrano che la buona musica vende sempre. Io, poi, credo che internet o gli MP3 possano aiutare a vendere di più, non di meno.
Permettimi in chiusura di ringraziare mia moglie innanzitutto per la tenacia e l’energia con cui mi ha “costretto” ad affrontare seriamente questa mia passione oltre che per la pazienza e la discrezione che ha avuto durante tutta la lavorazione del disco. Senza di lei questo disco non ci sarebbe.