ANNA CALVI – L’ESORDIO – Italiani all’estero. Dopo lo scozzese Paolo Nutini, una delle più belle voci black in circolazione, figlio di italianissimi genitori, dalla fredda Inghilterra arriva adesso la risposta femminile, Anna Calvi. Nomi tricolori che sarebbe interessante scoprire se, qualora le loro famiglie non fossero partite alla volta del Regno Unito, sarebbero diventati artisti di tale spessore anche qui da noi.



Perché, se la voce è dono di natura (comunque da educare), e le voci di Paolo Nutini e Anna Calvi sono straordinariamente belle, è altresì vero che le proposte musicali dei due non hanno alcun legame con quanto si produce in Italia, musicalmente parlando. Se Paolo Nutini si rifà alla grande storia del soul e dell’R&B con autorevoli passaggi cantautoriali, Anna Calvi è una incredibile sperimentatrice. Il suo primo disco esce proprio in questi giorni, si intitola con il suo stesso nome e cognome, e ad alcuni sempliciotti della critica musicale è sembrato di intravvedere un nuova PJ Harvey.



La quale a sua volta a inizio carriera venne salutata come nuova Patti Smith. Ebbene, come PJ non aveva proprio nulla in comune con Patti Smith, ci sembra che anche Anna Calvi si possa dire immune da qualunque forma di connessione con la Harvey.

Anna Calvi infatti stupisce per la tensione musicale che sa creare, quasi fosse un’artista con una decennale carriera sulle spalle, nonché per la bravura come chitarrista. La sua proposta musicale è indefinibile: a tratti sembra ricordare il Nick Cave più folle e decadente, quello di inizio carriera, con il medesimo gusto per le atmosfere selvagge, concupiscenti, sepolcrali. In altri momenti ci si imbatte in spezzoni sonori degni di una Maria Callas, con aperture soniche in cui si leggono ore di ascolti di musica classica, Debussy ad esempio.



Il tutto sostenuto da una ritmica possente e deragliante e dalle magie chitarristiche della stessa Anna, che aprono squarci profondi come un coltello che scavi nel sangue. Lei definisce il suo modo di suonare lo strumento "come quello di un pianoforte che sale e scende". È un lamento profondo quello che viene dalle canzoni di questa ragazza, un sensuale lamento che sa di mancanza, di desiderio, come si intitola uno dei pezzi migliori di questa raccolta, appunto Desire. Altrove è una sofferenza estrema, quella che ne emerge, come in The Devil, pezzo che sin dal titolo non lascia dubbi. Ma Anna Calvi sa anche ironizzare, come in I‘ll Be Your Man, o essere delicatamente tenera, come in Morning Light.

Tra i tanti intrecci musicali che emergono da questo lavoro, anche il flamenco, un altro dei suoi grandi amori, insieme al già citato Debussy e a due cantanti leggendarie come Edith Piaf e Nina Simone, da cui evidentemente ha preso parecchio. Lei definisce questo disco come un lavoro che parla "delle forze che ti sopraffanno e del come si possa sopravvivere ad esse. Desiderio e passione sono una parte definitiva di tutto ciò". Come la morte: "La canzone Suzanne and I" dice "parla dell’addormentarsi, incontrare qualcuno nel sogno e non risvegliarsi più. Parla della morte". Non è un caos che i genitori di Anna Calvi siano due terapisti specializzati nell’ipnosi: "La musica per me è una estensione dello stato in cui si cade durante l’ipnosi. Quando sono su un palcoscenico sono in grado di comunicare con una parte di me stessa con cui normalmente non sono in contatto".

E ascoltare le sue canzoni, possiamo assicurarlo, è in grado di mettere in contatto anche l’ascoltatore con parti di sé che normalmente rimangono latenti. Come in un sogno.