Ci hanno messo più di dieci anni, i Versus, per arrivare al loro primo disco. C’è gente che fa tutto in quattro giorni, il quinto raggiunge il successo, il sesto sta declinando e il settimo, invece di riposare, scrive la propria autobiografia. I Versus, accidenti a loro, se la sono presa comoda.

Sono cresciuti a pane e soppressa nella natia Padova, condendo con le musiche dei grandi (Beatles e Bowie, Pink e Depeche Mode) i propri sogni musicali più reconditi, alternando concerti a partecipazioni, serate acustiche a cover-nights, un po’ placidi e un po’ bighelloni, noncuranti del tempo che passava. Solo ora, superata ormai la trentina, han fatto il grande passo, che significa disco d’esordio e tutto quel che c’è dopo. E hanno fatto bene, perché il loro nuovissimo “RetròAttivo” (Mescal-Universal) è un grande disco, scritto e suonato da gente che ha cose da dire e le sa dire bene.



Chi conosce la band – Daniele Dupuis, bassista e autore di gran parte delle canzoni, Francesco Costantino alle chitarre, Sandro Martino alle tastiere e Andrea Dupuis alla batteria – sa che i quattro non si muovono nel territorio  rock’n’rolleggiante: hanno radici chiare e conclamate che si chiamano Pink Floyd e Franco Battiato, evitano accuratamente la banalità dei testi e delle rime, come pure l’ovvietà dei temi.



Ne consegue che “RetròAttivo” è un disco tremendamente pop, nel titolo, nei suoni, nella copertina (con un’immagine il cui uso è stato concesso dall’Atelier Fornasetti), nell’atmosfera, nelle furberie e nelle ingenuità, nei testi e nei titoli, nelle sovra incisioni e nei rumori, nelle voci fuoricampo (tante prese a prestito dal cinema e dal principe Antonio De Curtis). E se pop sta per “popolare” (i Beatles sono stati la summa del genere), i Versus pongono la loro piccola-grande pietra per la costruzione di un nuovo edificio del pop all’italiana, così come negli ultimi anni hanno fatto forse solo i Bluvertigo di Morgan (con cui, in effetti, la band padovana ha lunghe frequentazioni).



Degli undici titoli presenti nel cd, una canzone è già nota agli ascoltatori radiofonici, Torre di controllo, divertente e inquietante (“…grafici pubblicitari, crediti bancari, imprese immobiliari, che mi lasciano addosso un senso di smarrimento…”), ma non è questa la vetta compositiva. Il premio per il pezzo migliore se lo contendono probabilmente due canzoni: Cosa t’aspetti da questa notte, un capolavoro a più facce dall’andamento pinkfloydiano a cui pure Battiato ha offerto l’ugola per lo splendido finale orchestrale, “…waiting for the sunrise, i find myself, trough the light i look myself, waiting for the sunrise, i look myself..”; incantevole, poi, è lo stupendo giochetto leggero di Melody pops, con un classico refrain che ti conquista al primo ascolto, con tanto di chitarra acustica e fischiettio.

 

 

Presentando il cd, che è stato prodotto da Valerio Soave, uno che ci azzecca spesso quando punta sugli esordienti (lo dimostrano Afterhours, Bluvertigo, Modena City Ramblers e Subsonica), i Versus ci hanno spiegato: “Volendo identificare il tema unificante di questo nostro album, diciamo che le canzoni affondano tutte nel rapporto uomo-società, nella difficoltà di parlarsi, nell’invadenza dei media, sempre più onnivori e capaci di riempire i silenzi, anche notturni. In un senso colto diciamo che è un disco semplice e orecchiabile, che però tenta di spezzare l’omologazione imperante sui modi di pensare e di essere”.

Obiettivo non poco coraggioso (se si pensa che erano gli stessi temi di "The Dark Side of The Moon"), ma certamente riuscito quando riesce a parlare con insospettabile rispetto e delicatezza di donne in fiore (Ragazza farfalla) e di introspezioni faticose e accidiose (Profondamente dentro), arrivando al testo stupendo di Mi raccomando, che forse contiene la frase più bella e suggestiva del disco: “Si sposta più lontano il semplice bisogno d’altro. La bellezza è ovunque negli spazi più nascosti. Forse per paura del futuro. Ci siamo detti non cambiare mai”

Il divertissment finale di Versi nel bicchiere, tutto giocato su rime-assonanze con nomi di vini – marzemino, bardolino, fragolino – lascia un ottimo sapore finale, con i musicisti che – obbligati a definirsi – descrivono il loro sound come “pop confidenziale, con canzoni nate soprattutto di notte, tra di noi, in lunghi anni di amicizia e consuetudine, tra cene e lunghe suonate, esattamente come si faceva negli anni Sessanta e Settanta, quando i dischi non nascevano tra computer e contest musical-televisivi. E infatti la nostra – sottolineano – è una battaglia contro la banalità dei modelli e dei media”.

Il pop, per definizione, si nutre di cantabilità, di contagiosità melodica. S’ammanta di leggerezza che non è (giammai!) banalità, come ha dimostrato negli anni sua signoria Andy Warhol. Per questo tanto cosiddetto pop contemporaneo è in realtà trash-music. I Versus, invece, no. E se fossero loro, i futuri re del pop italiano?