È un periodo particolare, questo, per la grande musica al femminile. Festa della donna a parte, sono infatti usciti in queste settimane alcuni cd che varrebbero singolarmente la pena di ascolti e riascolti, senza noia, senza freddezza, senza ripetitività.

A partire da una raccolta antologica che potrebbe far riscoprire a molti l’eterna grandezza della regina del soul, Aretha Franklin, raccontata in The great american songbook, disco che pur non avendo nulla di nuovo da aggiungere a ciò che già conosciamo, presenta davvero il meglio della grande vocalist americana.



Da ascoltare mille volte ci sarebbero il blues pianistico di Trouble In Mind e l’eterno fascino di Try A Little Tenderness (come altri pezzi dal suo capolavoro del ‘62, The Tender, The Moving, The Swinging), per finire con God Bless the Child, semplicemente indimenticabile, nonostante i tanti violini, strumento che nella sua giovinezza Aretha considerava troppo “nobile” per il gospel e il blues.



Una che da Aretha, come anche da Janis Joplin e Bonnie Raitt, ha cercato di imparare tutto è una certa Dana Fuchs, giovane e fascinosa rocker che qualcuno ricorderà come interprete di Across the Universe, godibile film generazionale che segue la traccia delle più belle canzoni dei Beatles. La tostissima Dana ha appena proposto al mercato Love to beg, raccolta di tredici bei rock-blues con un classico (I’ve Been Loving You Too Long) e tante interpretazioni di buon feeling e ruvida voce roca, tra cui Nothin’s What I Cry for e Drive.

Dicono notevoli cose della trentacinquenne cantante del New Jersey soprattutto nelle sue esibizioni live: forse essere nata dalle parti di Springsteen le ha portato fortuna…  Va invece per i sessant’anni una grande songrwriter nordamericana, Lucinda Williams, che ha appena prodotto uno dei dischi migliori della sua lunga discografia, Blessed, con alcune country-rock ballads davvero importanti (Convince me e Buttercup, in bilico tra Neil Young e la Band…), mentre in Inghilterra una dea dell’alternative come Polly Jane Harvey con Let England Shake ha finalmente dato alle stampe un lavoro ostico e intimista più bello che nel passato, con una notevole On the battleship hill, tesa tra enfasi e animo dark ed una Written On The Forehead che tenta di esprimere istanti di rabbiosa luminosità, pur nella speranza di un fuoco purificatore che tutto cancelli.



È un’Inghilterra da scuotere, quella di cui narra Polly, con le vene poetiche e sonore che sono di Patty Smith e Nick Cave, che in questo disco raggiunge forse la maturità a 40anni, dopo sette album duri e sfrontati, trascorsi a parlare di sesso, morte e delusioni cosmiche.

Ma forse siamo noi a dover esser scossi, alle radici. E in questa raccolta di bei dischi al femminile, vorrei soffermarmi su un titolo in particolare, Simply Eva, raccolta di una serie di registrazioni di una meravigliosa voce degli States, quella di Eva Cassidy, nome poco noto, ma che merita una riscoperta, canzoni che sicuramente saranno in grado di dare una scossa anche al cuore più impietrito.

Scomparsa nel ’96 a 33 anni, Eva ha lavorato tantissimo come folk singer sulla scena di Washington, lasciando però solo un disco, Songbird e tante registrazioni incomplete. Per quelli che la amano e per tutti coloro che la ignorano, Simply Eva è ottima introduzione alla sua musicalità.

Nel disco ci stanno dodici interpretazioni per sola voce e chitarra, che donano la versione più chiara del percorso artistico della sfortunata vocalist; nessuna band dietro la purezza della sua interpretazione, nessuna chitarra o hammond, a differenza del pur bellissimo Live at the Blues Alley, così fremente di gospel e suggerimenti jazzati. Così People Get Ready e True Colours, Songbird (il suo pezzo più famoso, tratto dal disco d’esordio, canzone di Christine McVie, dei Fleetwood Mac) e Time After Time risplendono di purezza e intensità, mentre Over the Rainbow e San Francisco Bay Blues offrono la possibilità di farsi un’idea completa della versatilità di questa cantante, che sapeva transitare dai classici al blues, dal pop al folk, sempre mantenendo fissa la propria personalità artistica.

La Cassidy era una vocalist di grandi doti interpretative, un mix di Joan Baez e Joni Mitchell, anche se della prima non poteva avere il carisma sociale e della seconda non raggiungeva le qualità compositive, ma di certo si sarebbe ritagliata un’importante ribalta nella musica di qualità. Peccato che la sua battaglia contro una malattia scoperta e già quasi  terminale non le ha lasciato scampo. Peccato anche che non abbia avuto il tempo per affermarsi. Per fortuna che Simply Eva ce la restituisce nella sua forza poetica. Credo che queste canzoni saranno difficili da dimenticare anche per chi le ascolta per la prima volta. Basterebbe la versione di Over the Rainbow, lenta, bluesy, accorata, imprevedibile nella sua metrica, per farla amare per sempre…