“L’oceano nel quale ci muoviamo è un oceano di carta, tutto viene dalla letteratura”. Così esordisce Vinicio Capossela circondato da un’insolita coreografia di balene di stoffa all’Acquario di Milano, il posto scelto per la presentazione alla stampa del suo nuovo doppio album ‘Marinai, Profeti e Balene’. Che, come spiega lo stesso autore, molto attinge dalla letteratura del viaggio per antonomasia: dal ‘Moby Dick’ di Melville, dal quale scaturiscono i testi di quattro brani – Il Grande Leviatano, L’Oceano Oilalà, La Bianchezza della Balena, I Fuochi Fatui – all’Odissea, dalla ‘Divina Commedia’ alla Bibbia, “il testo più saccheggiato dal rock’n’roll”, come lo definisce lo stesso Capossela, occhi che sorridono ed eloquio che cattura.
Ci parla di marinai coraggiosi che sfidano la tempesta, di profeti che interpretano i sogni e gli enigmi dell’esistenza. E poi c’è la balena, “quell’essere smisurato, che nel Libro di Giobbe è un esempio della potenza della creazione”. Questo è un disco fuori misura (ottantasei minuti in tutto) proprio come la balena, diviso in due parti. Nella prima i riferimenti letterari sono Melville e Conrad, oltre alla Bibbia. “Nella mia barca ho voluto mettere in salvo la Bibbia, molto presente in questo disco nel quale si avverte la nostalgia dell’Uno al quale è impossibile tornare ma che ci attira”. Ci sono canzoni caratterizzate da una forte presenza del coro, che Vinicio non aveva mai usato prima.
Dal lirismo della prima parte, si passa all’epopea della seconda, spiccatamente omerica nei riferimenti testuali. “Il viaggiatore solo è quello che arriva più lontano, come l’Ulisse di Dante che non fa mai ritorno”, prosegue Capossela. E il viaggio è, quindi, inteso come sfida, come atto coraggioso che consente di arrivare, attraverso un cammino difficile e tormentato, alla conoscenza del mondo e, per conseguenza, di sé stessi. Non per niente l’autore lo definisce “un disco antropologico, fatto di canzoni piene di enigmi e di domande”. ‘Marinai, Profeti e Balene’ – e non poteva essere altrimenti – è stato concepito e realizzato proprio come un viaggio. Un viaggio iniziato a Ischia, dove Capossela ha fatto issare al Castello Aragonese, a picco sul mare, un pianoforte degli anni Venti (un Seiler a coda); viaggio proseguito a Berlino e a Creta per concludersi a Milano.
“E’ stato un privilegio uscire dal meccanismo dello studio di registrazione, per poter lavorare in un ambiente così suggestivo, anche di notte o di mattina presto, in totale solitudine”, così sintetizza Capossela l’esperienza di Ischia. Con lui per registrare l’ossatura del disco – solo voce e pianoforte – c’era l’arrangiatore Stefano Nanni, che ha fatto un lavoro molto importante, dando forma a una sostanza primitiva e poi costruendo una complessa architettura musicale attraverso sovraincisioni, nelle quali spiccano la presenza importante dei cori e l’utilizzo di strumenti insoliti come il santur, le onde Martenot, il theremin, le percussioni indonesiane gamelan (emblemi di una ricerca musicale iniziata da Capossela anni fa e sempre portata avanti con determinazione).
E ancora i musicisti Vincenzo Vasi e Alessandro Asso Stefana, i ‘vecchi’ compagni di viaggio Jimmy Villotti, Ares Tavolazzi e Antonio Marangolo, le guest star Marc Ribot e Greg Cohen, parecchi solisti della Scala, i patafisici catalani Cabo San Roque. Ma soprattutto Psarantonis, lo ‘Zeus con la lira’, una leggenda della musica cretese: secondo Capossela l’ospite fondamentale di questo doppio album, che in effetti è dominato da sonorità della tradizione greca. Realizzato a tre anni di distanza dall’introspettivo ‘Da Solo’, ‘Marinai, Profeti e Balene’ si riallaccia idealmente a ‘Ovunque Proteggi’.
Il Grande Leviatano indica la rotta musicale del primo disco, che alterna la voce solista ai cori sempre presenti, mescolando sonorità classiche e popolari, ritmi giocosi (L’Oceano Oilalà) e atmosfere opprimenti (La Bianchezza della Balena), maestosità e leggerezza, vita e morte. Il risultato è un oceano sonoro di grande fascino, che accosta antico e moderno, segnando un nuovo, coraggioso percorso musicale di Capossela. Trova posto qui il blues lento di Billy Budd, scandito dalle chitarre di Marc Ribot e dal contrabbasso di Greg Cohen, la suggestiva prison song dell’innocente che non è in grado di difendersi dalla giustizia ingiusta degli uomini. Pryntyl si stacca dall’ordito musicale con il suo inaspettato swing, ritorno ideale al meraviglioso ‘All’una e trentacinque circa’, l’esordio di Capossela.
I testi della prima parte di ‘Marinai, Profeti e Balene’ intrecciano Melville, Conrad e la Bibbia, indicando fin dall’inizio la difficoltà del viaggio: “Le coste ed i terrori di dentro la balena/Facevano a me intorno un buio spaventoso/Di Dio l’onda nel sole si muoveva serena/Portandomi abissato al giudizio doloroso”, ma anche la speranza di salvezza sempre presente: “Corse rapido Iddio al mio grido di pena/Come fosse portato da un bianco suo delfino/Splendeva sulle acque il volto sereno/Del mio liberatore tremendo e divino”.
La seconda parte è dominata da ballate di rara bellezza come ‘Le Sirene’, ‘Aedo’ e ‘Le Pleiadi’, giocate su ammalianti intrecci di voce, pianoforte, arpa, contrabbasso: “S’alza in cielo la croce del Sud/Notte alta io avanzo da solo/Fino ai confini delle Pleiadi/Fino agli estremi confini del mare”. Viaggio che impone la solitudine, il rischio, l’abbandono di ciò che è caro e conosciuto. L’ombra di Ulisse si muove in molte delle composizioni, soprattutto in ‘Nostos’: “Nostos nostos, perdere il ritorno/Batti le ali, fare da remi al volo/Ali al folle volo!/Fino alle terre retro al sol e sanza gente”. Viaggio che è sfida ma anche, prima o poi, ritorno, viaggio che riporta l’eroe al punto di partenza, più saggio e più esperto della vita. Viaggio alla ricerca di sé stessi, e di una risposta agli enigmi e alle domande che l’esistenza ci pone. Viaggio il cui richiamo è pertanto irresistibile, non solo per Vinicio.
(Clara Zambetti)