L’ultima fatica del pianista napoletano Michele Campanella, “Il mio Liszt. Considerazioni di un interprete”, squilla gagliarda e ispirata come una Rapsodia ungherese. Franz Liszt è tra i compositori più malintesi, quello che scatena le peggiori volgarità: si va dallo snobismo all’indifferenza, passando per il compatimento, l’ostilità, l’incomprensione. Campanella smonta i pregiudizi, chiarisce gli equivoci, deride e spazza via l’aneddotica di bassa lega. Non destano più scalpore uno Scarlatti romantico, un Beethoven sentimentale, uno Schumann “russo”, un Brahms nevrastenico; un Liszt frainteso rientra nell’ordine delle cose. Il virtuoso magiaro lo aveva capito subito, “io posso aspettare”, sospirava.



Il libro è una miniera di spunti, frutto di un’esperienza concertistica che sfiora mezzo secolo. Vi trovano spazio il divo flamboyant suscitatore di illusionistiche sonorità e l’anziano mago inventore d’inaudite creature, inedite analisi riguardanti tonalità, uso di pedale e sordina, consigli per affrontare i finali, acuti sguardi sull’orchestrazione. “Se aggrediamo il tasto, il suono implode invece che esplodere. Il pianoforte di Liszt esige vibrazioni leggere, che svaniscono se schiacciate dalla fatica. La meta finale sono sempre suoni puri”.



Liszt l’antenato del Grande Fratello: ogni sua composizione è introspezione che non esclude gli sguardi degli ammiratori, anzi, li attira, li eccita, li moltiplica. Liszt, l’animale da palcoscenico: solo di fronte a un’esecuzione dal vivo il giudizio sui suoi brani può essere adeguatamente formulato. Liszt, lo scienziato del pianoforte: che nella fase tarda dialoga con se stesso, cristallizza le forme, distilla le note.

Di cosa è sintomo lo stato d’animo costantemente febbrile del periodo giovanile? A che pro solleticare la curiosità dell’ascoltatore, vellicarne i precordi, farlo spasimare? L’esplicito riferimento alla presenza di un pubblico è segno di forza o di debolezza? “Sono quesiti senza risposte”, avverte Campanella. Il vecchio stanco abate ci osserva con la coda dell’occhio, immobile, sfingeo, le grandi mani appoggiate alla tastiera. “Io posso aspettare”.