Fu il giorno in cui, “the music died”, come avrebbe detto anni dopo Don McLean nella sua celeberrima canzone American Pie. Fu il giorno, quel 3 febbraio 1959, che Buddy Holly morì. Tanto impatto ebbe quell’evento da passare alla storia appunto come il giorno in cui la musica morì tutta quanta.
Per molti, il 3 febbraio 1959 segna anche la fine della prima ondata del rock’n’roll, quella cominciata nel luglio di cinque anni prima con il primo 45 giri di Elvis, That’s All Right Mama.
Il rock’n’roll genuino, quello più vero, quello dell’età dell’innocenza e dei sogni tutti interi. Di quella schiera di grandi protagonisti, da Elvis appunto a Little Richard, da Chuck Berry a Jerry Lee Lewis, per dirne solo alcuni, Buddy Holly fu probabilmente il più geniale. Forse meno dotato come performance di quegli esplosivi colleghi, il piccolo texano con gli occhiali larghi che sembrava il ragioniere della banca all’angolo invece che la bomba sexy che era Elvis, fu invece il maggior compositore.
Mentre gli altri si limitavano a rileggere classici del blues o del R&B seppur dando loro vita nuovissima, Buddy Holly le canzoni se le scriveva. E che canzoni. Non sarebbero mai esistiti i Beatles senza le canzoni di Buddy Holly.
Genio purissimo, sapeva infondere le melodie classiche della musica country con i nuovi ritmi del rockabilly e del rock’n’roll, generando una miscela esplosiva, originale e talmente innovativa che ancora oggi le sue canzoni sembrano scritte solo poche ore fa.
Dentro, in quella manciata di brani scritti in una vita brevissima, troppo breve, un senso indelebile di promessa. Chi pensa siano canzoncine per innamorati teen-ager sbaglia e di grosso. Da lì, Buddy Holly sapeva esprimere tutta la formidabile promessa che è nel cuore dell’uomo, quel senso di anticipazione, di mistero che pochi hanno saputo rendere così bene. Tanto è vero che ogni suo pezzo risuona oggi attuale, calato nel momento, indimenticabile.
Se il 3 febbraio il texano moriva, giovanissimo (22 anni, il che la dice lunga del genio che lo animava), il prossimo 7 settembre se fosse rimasto in vita Holly avrebbe compiuto 75 anni. Ecco perché si è deciso di ricordare l’evento con un disco tributo (uscito ai primi di agosto), l’ultimo di una lunga serie, dal titolo “Rave On Buddy Holly”. Le sue canzoni nel corso dei decenni sono state riprese miliaia di volte.
Quello che lo ha fatto più di ogni altro, arrivando anche a fondare un evento annuale che celebra Holly è stato ovviamente l’ex Beatles Paul McCartney.
In questo disco, Paulie è presente con una strabordante It’s So Easy.
Avete presente il vocione da nero che caratterizzava Oh Darling su “Abbey Road”: Be’, eccolo di nuovo, ancor più incontenibile. Il pezzo diventa una cavalcata selvaggia con un McCartney davvero incontenibile.
Questo tributo, peraltro, si caratterizza per il vasto numero di giovani interpreti, scelti nell’ultima leva musicale. Di grandi “vecchi” infatti ce ne sono pochi. A parte Paul, c’è Graham Nash, quello di CSNY, che da giovane militava in una band che non a caso si chiamava The Hollies: la sua tenue e pianistica Raining in My Heart però non convince del tutto.
Meglio fa Lou Reed, con una distorta e chitarristica Peggy Sue, degna di apparire su “Metal Machine Music”. Non convince granché neanche Patti Smith con una Words of Love un po’ buttata lì. Poi arrivano i giovani.
Su tutti la bella Fiona Apple con una delicata e sexy Every Day, davvero brava. Piace anche Karen Elton, la fotomodella cantautrice moglie di Jack White: appassionante in Crying Waiting Hoping. Eccitante e incontenibile la Oh Boy riletta dal duo She & Him, che poi sono l’attrice Zooey Deschanel e il cantautore M. Ward.
Quando dicevamo di senso di promessa, eccolo tutto intero in questa interpretazione. E se il leader degli Strokes Julian Casablancas pasticcia con un classico come Rave On, i My Morning Jacket con True Love Ways rievocano lo spirito di Frank Sinatra. E ancora: Kid Rock in chiave R&B con Well… All Right e gli sconosciuti Detroit Cobras con una scintillante e travolgente Heartbeat.
Manca ancora qualcuno: un insospettabile rapper, Cee Lo Green che fa invece una resa quasi country di (You’re So Square) Baby I Don’t Care e la simpatica Jenny O. in I’m Gonna Love You Too. Il fuorilegge del country Justin Earle, figlio di Steve e ultimamente anche meglio del papà in Maybe Baby e – doveva figurare tra i vecchi in realtà – il sempre elegantissimo Nick Lowe con Changing All Those Changes.
Buddy Holly era divertimento, felicità, giovanile irruenza: oggi avrebbe 75 anni: non importa, la musica non è morta con lui, festeggiatelo con un party di fine estate a tutto volume. Rave on, Buddy, rave on!