Se la forbice che stringe inevitabilmente il passaggio del tempo si richiude sui grandi protagonisti dell’epopea della musica rock, è altresì vero che questo permette di celebrarli in modo più opportuno che in passato. La distanza, il cumularsi del passaggio del tempo permette infatti una visione più critica e allo stesso tempo maggiormente consapevole sui nomi che hanno segnato questa storia e – udite udite – come già segnalato in altri articoli di questo giornale sta permettendo anche in Italia finalmente la nascita e la crescita di una generazione di critici finalmente a livello di quelli anglo-americani, dopo decenni di compilatori copia e incolla di schede degli uffici stampa.
È il caso di Paolo Bassotti ed Eleonora Bagarotti, dopo il già citato Claudio Todesco, autore del libro sull’epopea del grunge recensito poco tempo fa. Il primo, Bassotti, è l’autore di un ponderoso volume sulle canzoni di Lou Reed, che da pochissimo ha compiuto 70 anni: lo avreste mai scommesso ai tempi di Heroin che avrebbe tagliato questo traguardo? (“Lou Reed, testi commentati”, Arcana, 448 pagine, euro 19 e 50), la seconda è Eleonora Bagarotti autrice di “Tommy, The Who” (No Reply, 160 pagine, euro 12,00) un più agile volumetto, ma non per questo meno interessante.
Va detto che Eleonora Bagarotti non è una firma nuova: giornalista musicale da parecchi anni, ha scritto già diversi libri tra cui “Magic Bus: The Who”, “Le canzoni di Tom Waits”, “Elvis Costello”, “The Who Pure and Easy”. Come capirete una autentica conoscitrice dell’universo Who (vanta una amicizia personale con Pete Townshend da molti anni) a cui in concomitanza del tour del cantante del gruppo stesso Roger Daltrey in Italia ha dedicato un libro alla loro opera maggiormente significativa, “Tommy”.
Un libro che può contare, grazie alle credenziali dell’autrice, un’intervista esclusiva con lo stesso Daltrey, una a Pete Townshend, una testimonianza del regista recentemente scomparso Ken Russell che diresse la versione cinematografica della rock opera, una del fotografo e biografo storico degli Who Matt Kent, più una disanima brillante di ogni singola canzone che compone “Tommy” da parte della stessa Bagarotti.
Il quale disco, dopo certa retorica del tempo che fu, ci appare oggi definitivamente come una delle più gradi collezioni di canzoni dell’epoca rock, musicalmente e liricamente, e solo oggi si può percepire quale effetto devastante (in senso positivo) può avere avuto quando venne originalmente pubblicato, cioè il 1968. Se allora l’utopia del ragazzo nato cieco, sordo e muto sembrava davvero una utopia come le tante di quel periodo, oggi ci appare come l’unica consistente definizione del desiderio di ogni uomo: I’m free, sono libero, e la libertà ha il sapore della realtà, come canta nel finale Roger Daltrey. Eleonora Bagarotti questo ce lo fa toccare con mano.
Paolo Bassotti si immerge invece nell’universo di uno dei più grandi autori di canzoni, un universo che comincia con l’avventura dei Velvet Underground (“Un disco” ha detto qualcuno “che all’epoca non comprò quasi nessuno, ma quei pochi che lo fecero misero tutti su una rock band”) fino al recentissimo “Lulu” inciso insieme ai Metallica.
In mezzo c’è un universo che lascia nell’ottima analisi che ne fa l’autore inquieti e desiderosi di ricominciare daccapo a scoprire Lou Reed tanto ci appare di non averlo mai fatto prima.
Bassotti commenta ogni singola canzone di ogni singolo disco, e lo fa in modo semplice e diretto, con un amore sconfinato verso ciò di cui sta parlando, ma con una consapevolezza critica che ha pochi paragoni in Italia. Niente letture da fan dunque, per il quale va bene qualunque cosa abbia fatto il proprio beneamino: Bassotti ad esempio ci fa percepire anche i limiti di un disco universalmente considerato un capolavoro e cioè “New York”. Èuna narrazione affascinante questa, ben definita dallo stesso autore quando dice: “Lou Reed ha definito la sequenza dei suoi album a volte come un tentativo di scrivere il Grande Romanzo Americano e in altre occasioni come una sorta di autobiografia”.
Due affermazioni che la dicono lunga del lavoro del musicista americano: a parte Bob Dylan e Bruce Springsteen, nessun altro autore rock ha saputo indagare così a fondo in quel gran mistero che è l’America degli ultimi cinquant’anni. Le loro canzoni, e non le disanime di politici e intellettuali, danno il senso di cosa sia questa nazione e di quanto essa ha saputo, nel bene e nel male, coinvogliare aneliti di speranza da ogni parte del globo. In più, dentro queste canzoni ci hanno messo la loro vita e il loro sangue raccontando anche se stessi.
Non si può chiedere di più. “Il segreto di una grande opera” dice ancora Bassotti “è saper raccontare anche la storia dei suoi lettori. Queste canzoni sono una continua rivelazione perché dentro ci sono anche le nostre stesse facce incessantemente smascherate e poste davanti al più spietato degli specchi”.
(Paolo Vites)